Il Butre è un
giovane neolaureato degli anni Duemila dall'animo nerd e dagli ingenui
sogni di gloria. A seguito di mesi e mesi di fallimentari colloqui di
lavoro, un invitante stage in Cina lo convince a fare le valigie e volare a
Pechino. Ad accoglierlo trova il fastidioso Peter, autista cinese dall'inglese
incerto, il quale ben presto si rivelerà essere un truffaldino tuttofare, un
pessimo uomo e un campione mondiale di sputi. Il Butre diventerà così protagonista di un tragicomico
viaggio fra Pechino, Tianjin e Wuhan che lo porterà a scontrarsi con i raggiri
del suo autista, a imbattersi in un amore inaspettato e a incappare in
situazioni ai limiti dell'umana sopportazione. Durante il suo tentativo di punire
Peter, scoprirà infine il lato chiaro di quel grande mistero chiamato Cina. “Le Tribolazioni di un italiano in
Cina” è una storia autobiografica realmente accaduta e rappresenta l'inizio di
un'avventura molto più grande che ha portato l'autore a vivere nel “Celeste
Impero” per molti anni a seguire.
Eccovi anche un estratto:
Durante la seconda ora di attesa, il viaggiatore che è in me ha preso il controllo delle mie insicurezze ed è giunto alla realizzazione di un piano di attacco. Avrei aspettato fino alle nove. Se non si fosse presentato nessuno, mi sarei infilato nel primo taxi e mi sarei fatto portare in un albergo in centro. Al massimo, mi sarei preso un mese sabbatico, avrei visitato la Cina in lungo e in largo e poi sarei tornato mestamente a casa.
Questo pensiero ha riempito di positività l’intera terza ora di attesa. Fra una volgarità e l’altra sussurrata verso Hellen, Alice e l’autista, ho lasciato che il mio ebook reader mi sollevasse dal peso di domande ed enigmi troppo scomodi.
Fino ad ora.
Sono le otto e quarantanove.
“Che faccio? Me ne vado?”
No, dai. Ho detto alle nove e nove sia. Dieci minuti. Aspettiamo altri dieci minuti.
Otto e cinquanta.
“Resisti, Butre. Canticchia.”
Poso l’ebook reader sulla valigia. Canticchio i cari e vecchi Litfiba a voce più alta di quanto abbia pianificato:
«E noi siamo i tipi che ti fanno dannare, siamo noi, proprio noi che non dormiamo mai!»
Qualcuno passa e mi guarda come se fossi appena uscito da un manicomio.
«O forse siamo i tipi che ti danno da fareeeah, se resisti, resisto, insisto anche nei guai!»
Otto e cinquantuno.
«Così, io lo dico, rifarei tu - tto! E qua io posso dirlo, ne rifarei di piùùùùùù. VOGLIO ANDAAAAARE NEL MONDO PIÙ PERSO! AZZO’! E SOGNAAAARE IL MONDO ALL’INVEEERSO!»
«Ah, ah, ah! Errrrrr, Tu cantare? Tu Butre? Bravo, cantare!» mi interrompe una voce rauca ma squittente, in un inglese che tra-sformerebbe la mia vecchia prof di molinglisc’ in una madrelingua di Brighton.
Mi giro di scatto. Davanti a me, una figura insolita. Un cinese sui quarant’anni, basso, tozzo e tarchiato, mastica qualcosa di immondo tra i denti irregolari, che del bianco hanno perso pure il ricordo. Mentre biascica e succhia con gusto il suo snack, mi offre un sorriso che vorrebbe essere benevolo. La verità però è che il tizio è talmente brutto da risultare subito antipatico a pelle. Sembra una delle tre Furie di Grosso guaio a Chinatown, quando alla fine esplode perché si gonfia di disperazione dopo la morte di Lo Pen. Veste un orribile maglione grigio che ricorda vagamente quelli che mia madre mi propinava per Natale, passati per trenta-cinque anni di cugino in cugino e riciclati a ogni generazione. Sopra di esso, una giacca nera per dare un tocco di eleganza. Sotto, pantaloni della tuta verdi e scarpe nere di finta pelle lucidate fino a splendere.
«Chi sei tu?» gli chiedo in inglese. «Sei della SISNEDU?»
«Sì, sì! Io sono autista! Autista SISNEDU! Torniamo? Tornia-mo!»
Sembra davvero divertente! Sono proprio curiosa di leggerlo.
E voi cosa ne pensate?