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Ilaria Vecchietti, autrice del racconto "L'ultima chance...", e dei romanzi fantasy "La Libertà figlia del Diavolo", "L'Isola dei Demoni" e "L'Imperatrice della Tredicesima Terra". E altri racconti pubblicati in raccolte.

venerdì 17 aprile 2020

Segnalazione: La Zona Extramondo di Riccardo Pietrani

Segnalazione:
La Zona Extramondo
di
Riccardo Pietrani



Buongiorno lettori,
vi segnalo il romanzo "La Zona Extramondo" di Riccardo Pietrani, autore già conosciuto per Missing Time: Progetto Abduction file 1 e qui potete trovare la mia recensione.


Biografia:
Nato il 12 febbraio 1981 nella provincia milanese, all'età di 3 anni circa subisce un'abduction, durante la quale gli viene installato nel cervello un microimpianto. Il manufatto alieno si attiverà a 17 anni causando l'epilessia e un tumore al cervello, ma gli darà modo di comprendere appieno la delicatissima missione della quale è stato investito. Quando non è intento a ordire la macchinazione che devierà il corso della storia della razza umana, si diletta con la scrittura.




Genere: romanzfantascienza / thriller tecnologico
Editore: self publishing
Data di pubblicazione: 11 fenìbbraio 2020
Numero di pagine: 408 (446 cartaceo)
Prezzo cartaceo: 17,99€
Prezzo ebook: 3,99€
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Sinossi:
Stato della Chiesa, 1561
Un capitano di vascello e la sua ciurma, di ritorno da un viaggio nelle Americhe, si sacrificano alle torture dell'Inquisizione pur di tenere nascosto il diario di bordo della spedizione e i suoi sconvolgenti segreti.

USA, dicembre 2012
Kayn Grimm, ex professore di genetica, riceve una telefonata da una misteriosa donna che sostiene di avere informazioni sulla morte del padre, avvenuta molti anni prima in circostanze anomale.

Germania, dicembre 2012
Le vicende di un killer russo, Viktor Zagaev, e del detective sulle sue tracce, Matthias Wichmann, si intrecciano con quelle di una oscura organizzazione alla ricerca di un luogo leggendario che svelerebbe il potenziale nascosto nel DNA umano e il destino dell'intero universo.


Ecco degli estratti:


Estratto 1


Dal fondo del corridoio si avvicinò una figura scura, camminando a tentoni. Nella mano destra reggeva una piccola torcia.
«Siete il benvenuto, Eminenza» gracchiò con voce rauca. «Vi guiderò io.»
L’uomo, gobbo e claudicante, aveva un occhio spento e il viso percorso da profonde cicatrici. Il corpo, grasso e sgraziato, era parzialmente coperto da stracci. Sotto si intravedeva una pelle deturpata da una grave bruciatura sotto l’ombelico.
Il gruppo seguì il custode della prigione fino a un portone metallico. Incisa sui lastroni campeggiava una croce circondata da due angeli, ognuno dei quali brandiva una spada fiammeggiante. L’uomo si appoggiò con le mani sul metallo ed emise alcuni grugniti, finchè le due metà non si spalancarono.
Quello che si parò loro di fronte era una visione infernale. I volti dei soldati sbiancarono di colpo: il più giovane di loro, Giacomo da Poltici, non riuscì a trattenere un conato di vomito e rigettò il rancio di qualche ora prima sul pavimento. L’odore di sporcizia che li aveva accompagnati fu sopraffatto dal calore di una fornace unito a un acre sentore di sangue. Appesi al soffitto o alle pareti, con le braccia incatenate sopra la testa, si trovavano una ventina di uomini martoriati da piaghe di ogni genere: segni di bruciature, escoriazioni da frustate, dita amputate e unghie strappate. Alcuni erano già morti, chi con gli intestini fuoriusciti dal ventre, chi impalato sul Triangolo, chi legato a macchine per slogare le articolazioni. Da una delle vergini di Norimberga uscivano deboli lamenti, segno che l’agonia della vittima era ormai giunta al termine. Uno sventurato, all’apparenza molto giovane, era seduto su una sorta di trono metallico, con polsi e caviglie bloccati, la testa riversa su una spalla e le palpebre tremolanti: il suo corpo era quasi del tutto scarnificato ed erano ben visibili le striature rossastre dei muscoli.
I soldati, sconvolti, cercavano a stento di mantenere un contegno militaresco, contraendo i muscoli e distogliendo lo sguardo dai corpi mutilati.
«So cosa state pensando» esordì l’Inquisitore. «Vi starete chiedendo se sia necessario un simile trattamento.»
Non sembrava affatto turbato da quei supplizi, anzi, a giudicare dallo sfavillio dei suoi occhi, dava quasi l’impressione di esserne compiaciuto.
«Costoro sono pecorelle smarrite, figli dell’Onnipotente che hanno perso la luce del giudizio. Io sento un gravoso fardello per ognuno di essi, dato che il mio compito è spingerli al pentimento e reindirizzarli sulla retta via. Ogni mio fallimento, ogni anima che rifiuta di pentirsi e volta le spalle all’amore misericordioso di Gesù Cristo Nostro Signore, è un’anima che va a rimpinguare le già nutrite schiere dell’esercito del Maligno.»
Detto questo, si diresse verso un prigioniero che non smetteva di singhiozzare, e gli accarezzò il volto rigato dalle lacrime. «Ricordate: la sofferenza avvicina a Dio. Avete peccato, ma se vi pentirete e farete ammenda per le vostre colpe, vi sarà concesso il perdono nel regno dei Cieli.»
«Tu… tu sei il peccatore!» bofonchiò l’uomo, con un impeto inaspettato. «Hai fatto torturare e uccidere le nostre famiglie solo per farci confessare! Dio ti punirà per le tue orribili azioni!»
Nicodemo, per alcuni secondi, rimase immobile e non proferì parola. Poi sgranò gli occhi e tese i muscoli del viso allo spasimo, assumendo un’espressione quasi demoniaca. «Come osi…» sibilò tra i denti, schiumando di rabbia. «Come osi, anima immonda, insultare un ministro della Santa Madre Chiesa!»
Con una rapidità degna del più addestrato dei soldati, l’inquisitore raccolse da un bancale una piccola ascia bipenne e, ruotando il busto di scatto, la fece piombare in fronte al prigioniero. Il crocchiare della calotta cranica provocò un brivido in tutti i presenti, mentre dallo squarcio prese a schizzare sangue e a colare materia cerebrale. L’uomo rovesciò gli occhi all’indietro e la testa gli ricadde sul petto.
L’Inquisitore si ricompose e il suo viso tornò a essere sereno. «Purtroppo, non tutti sono inclini al pentimento.»

Estratto 2

Richiuse il frigo, prese due bicchieri dalla mensola, ci versò il latte e ne porse uno a Greta. «Adesso dimmi, però, cosa pensi di trovare qui. E come.»
Lei fece un sorso, immersa nella contemplazione del mobilio, lussuoso ma dallo stile superato. «Lo studio di tuo padre c’è ancora, vero?» chiese, appoggiando il bicchiere sul tavolo. «Puoi mostrarmelo?»
«Certo, non c’è problema. Abbiamo rimesso tutto a posto dopo la visita di quegli stronzi, e da allora non ho toccato più nulla.»
Salirono assieme le scale in legno ed entrarono. Lo studio era abbastanza piccolo rispetto alle altre stanze della casa. La parte centrale era occupata dalla scrivania su cui troneggiavano due vecchi computer Commodore 64, circondati da una gran quantità di matite e penne, tutte riposte in ordine negli appositi portaoggetti. Sembrava proprio la postazione di qualcuno che dovesse tornare da un momento all’altro per continuare il lavoro interrotto. Invece, erano passati oltre venticinque anni dall’ultima volta che suo padre ci aveva messo piede.
Greta si guardò intorno, facendo scorrere le dita tra i lunghi filari di volumi ordinati con cura sui ripiani.
«Dal Big Bang ai buchi neri, di Stephen Hawking…»
«Mio padre era pazzo di quel libro. L’ho letto anch’io, anche se…»
Alla ragazza brillarono gli occhi. Sfogliò il libro fino alla quarta di copertina e iniziò a tastare la rilegatura in cerca di rigonfiamenti.
Kayn la guardò perplesso. «Cosa stai facendo?»
Lei non rispose e continuò a esaminare il volume, fino a che non individuò una minuscola piega. Ci infilò un’unghia e iniziò a tirare, portando alla luce un piccolo alloggiamento. Strappò via il velo di carta che lo ricopriva ed estrasse un foglio ripiegato all’apparenza molto antico, custodito in una busta di plastica.
Un’espressione di sincero stupore si disegnò sul viso del professore, che si avvicinò per guardare meglio. «Cosa diamine è? Sembra una pergamena!»
Greta diede un’occhiata sommaria e se lo infilò in tasca. Poi si avvicinò a Kayn. «Ricordi quando ti ho detto che non sapevo mentire?»
«Eh?» balbettò lui inebetito.
Con un gesto fulmineo, Greta estrasse una piccola siringa dalla tasca e gli iniettò un potente narcotico nel collo.
Prima che potesse rendersene pienamente conto, il genetista crollò sul pavimento privo di sensi.
«Mentivo.»


Mi ispira molto e a voi?

Buona lettura!

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