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Ilaria Vecchietti, autrice del racconto "L'ultima chance...", e dei romanzi fantasy "La Libertà figlia del Diavolo", "L'Isola dei Demoni" e "L'Imperatrice della Tredicesima Terra". E altri racconti pubblicati in raccolte.

domenica 16 maggio 2021

Segnalazione: Le campane di San Pietroburgo di Jessica Marchionne

Segnalazione:
Le campane di San Pietroburgo

di
Jessica Marchionne



Buongiorno lettori,
vi segnalo il romanzo: "Le campane di San Pietroburgo" di Jessica Marchionne, edito Words Edizioni.


Un intreccio sorprendente di storia e fantasia 
sullo sfondo della Russia di Lenin, Stalin e della fierezza imperiale dei Romanov. 


Biografia:
Jessica Marchionne è nata a Sezze nel 1991. È laureata in ‘Editoria e scrittura’ e ha continuato a frequentare corsi e tirocini anche dopo gli studi nella speranza di trasformare la sua passione in lavoro. Legge da sempre qualsiasi genere anche se predilige il fantasy e lo storico. Ha un blog ‘Luce sui libri’ dove recensisce libri di autori emergenti e dispensa ogni tanto qualche consiglio. Ama i videogiochi, gli animali e pensa che l’autunno sia la stagione che meglio le si addice.
Le campane di San Pietroburgo edito da Words Edizioni è il suo romanzo d’esordio.



Gene
re: 
romanzo Fantasy storico
Editore: Words Edizioni
Data di pubblicazione: 9 gennaio 2021
Numero pagine: 212
Prezzo cartaceo: 12,90€
Prezzo ebook: 2,99€ (gratis con Kindle Unlimited)
Link per l'acquisto su Amazon:



Sinossi:
Viktor è solo un bambino quando riceve in dono dal fratello Ivan un diario, a suo dire, capace di realizzare tutto quello che vi viene scritto: è così che esprime il desiderio di diventare Zar. Ma la sua vita, nel pieno della prima grande guerra, è destinata a essere stravolta: viene venduto dal padre a uno strano uomo di nome Gavril, segnato dalla perdita di moglie e figli. Di loro gli resta solo un orologio fermo, che all’improvviso riprende a ticchettare con l'arrivo di Viktor. Quando Palazzo d’Inverno viene attaccato, però, tutto sembra perduto ancora una volta. Anni dopo, Viktor incontrerà Anastasia Romanov, e insieme a lei, dopo essere diventato Zar, riconquisterà la città fino all’avvento di Stalin. Ma ecco che, quando le campane di San Pietroburgo risuoneranno, il diario rivelerà ancora una volta la sua magia. E cosa ne sarà di Gavril, legato a quell’orologio che segna il tempo in bilico tra la vita e la morte?


Il libro è uno, le storie sono due.
Diviso in due parti, entrambe raccontate dai due protagonisti assoluti, Viktor e Gavril, Le campane di San Pietroburgo è un romanzo breve che mescola alla perfezione storia e fantasia. Ma altro grande protagonista del romanzo è il tempo, che promette e non dà, poi restituisce, infine si piega magicamente all’amore e all’affetto, concedendo quell’attimo, solo uno, fugace, di serenità. L’intreccio ben studiato da parte dell’autrice concede al lettore la possibilità di affacciarsi su uno scorcio veritiero di storia, quella che tutti conosciamo e abbiamo studiato più o meno bene sui banchi di scuola, sviluppando tuttavia un what if interessantissimo con l’entrata in scena di Anastasia Romanov. E a condire il tutto, quella spruzzata di magia in cui Viktor smette di credere ad un certo punto, mentre Gavril ci si affida per andare avanti.
Due personaggi, Viktor e Gavril, segnati dalla solitudine non per scelta. Il primo abbandonato dalla famiglia e da un padre crudele; il secondo vittima della ferocia di Lenin. Insieme riusciranno a coesistere, dandosi in un certo modo affetto a vicenda, sopperendo l’uno alle mancanze nella vita dell’altro. Viktor è il figlio che Gavril ha perso, Gavril il padre che il ragazzo non ha mai avuto. Da quel micro mondo composto da due persone appena, tuttavia, il destino della Russia sarà sconvolto, ribaltato, nuovamente segnato dal sangue. Viktor e Gavril sono due personaggi complementari: da un lato troviamo un ragazzino che ha perso fiducia nella vita, abbandonato da chi avrebbe dovuto amarlo, venduto a un uomo che non conosce e desideroso di fare qualcosa di quella vita che non ha scelto, ma forse troppo poco incline a credere che sia davvero possibile; dall’altro abbiamo un uomo che la vita ha portato sull’orlo della follia, ma che non ha mai abbandonato la propria integrità morale, i propri ideali e soprattutto non ha mai smesso di credere nelle possibilità della vita.
Si parte dalla Russia, ma si finisce in Messico.
Ma ogni tassello trova la sua delicata posizione in questo fantasy, storicamente ricco di dettagli: ogni cosa ha il suo posto nella storia, ogni avvenimento è studiato e incastrato nella narrazione per contribuire allo scorrere fluido della trama. Esattamente come lo scorrere del tempo scandito dalle lancette di un orologio.


Eccovi anche degli estratti:
1.
«Nel nostro Paese, specialmente adesso, non sempre le cose vanno come vogliamo. Semmai un giorno ti sentissi triste, invece di guardare solo fuori dalla finestra, potrai redigere la tua storia. Questo diario però accetta solo racconti belli, e se non scriverai niente di brutto, anche la realtà non sarà tale» disse.
«Davvero?» domandai, guardando il diario sempre più meravigliato.
«Ha anche un altro pregio: puoi immaginare il tuo futuro e confidarlo alle sue pagine. Se lo scriverai come lo desideri, allora si realizzerà.»
«Se scrivo che diventerò Zar, quindi, succederà?» chiesi eccitato.
«Se lo vuoi, sì. Il diario poi farà il suo lavoro. Comincia con la storia di adesso, sono sicuro sarà magnifica. E ricorda, Viktor, cos’è che il diario vuole?»
«Solo racconti belli» risposi con un sorriso.

2.
«Cosa significa che non ritorneranno?» chiesi, flebile. Il mio respiro si condensò nell’aria.
«Tuo padre ti ha venduto a me. Sei uno dei tanti doni che mi ha lasciato per poter passare indenne il confine. Gli serviva una raccomandazione, siccome non è amico dei bolscevichi…»
Quelle parole risuonarono stonate alle mie orecchie. Non ci credevo, non le comprendevo. Sapevo che mio padre mi odiava e voleva sbarazzarsi di me, per questo speravo mi mandasse via un giorno, magari in qualche bel posto. Alla fine era successo, e Ivan era stato suo complice.
Mi aveva fatto perdere tempo nel riporre giusto quei due ciondoli, sicuramente lasciati di proposito nel comò. Scuotevo la testa mentre ricordavo e una lacrima provò a scivolarmi lungo la guancia, ghiacciandosi tra le mie ciglia. Guardai l’uomo e come un automa scesi le scale: mi sembrava di sprofondare sempre più verso l’inferno, e mai quell’inferno mi era sembrato più freddo.

3.
«Quando dici che non c’è più, vuoi intendere che è morto?»
«No, o almeno non credo…» risposi incerto.
«E allora non dire che non c’è più. C’è e lo devi trovare.»
«Ma come?»
«Tornando nel passato, come ti ho detto.»
«Rozovij, è imposs…»
«Non lo è» mi interruppe. «Niente lo è. Se lo fosse, io non sarei riuscito a portare delle rose nell’inverno di Pietrogrado.»
«Non profumano» dissi. Era vero. La rosa che mi aveva dato non appassiva, ma non profumava.
«Quello che serve adesso è solo un po’ di colore, non il profumo, capisci perché te l’ho voluta dare? Bastava solo il colore, era quello che serviva a te, quando ti ho visto la prima volta.»
Rimasi allibito.
«Così non è una vera rosa però, no?» chiesi poi, titubante.
«Ma se lo vuoi, lo sarà.»
«Se è il colore che vuoi portare perché adesso le vuoi prendere bianche?»
«Tra poco il colore dominante sarà il rosso. Colorerà anche la neve. Dovrò riportare il bianco.»

4.
«Credi davvero che un giorno ci riusciremo?» mi domandò Anastasia una sera, guardando oltre uno dei balconi di Palazzo d’Inverno.
«Ne stai forse dubitando?»
Anastasia scosse la testa e dei riccioli rossi ribelli le caddero sul viso.
«Solo che mi sembra così strano. Un mio grande desiderio sta davvero per diventare realtà. Ho riconquistato il mio palazzo e presto avrò la testa di Lenin.» Attese qualche secondo. «E tu sei mai stato così vicino alla realizzazione di un sogno, tanto da non crederlo possibile?»
La sua domanda mi piegò la bocca in un leggero sorriso.
Le presi la mano e la guardai intensamente negli occhi. Lei sostenne il mio sguardo e per la prima volta vi lessi una leggera paura, poi mi sorrise a sua volta e strinse forte la mia presa.
«Era il tuo stesso sogno» sussurrai e le baciai la mano.
«Era, dici?» chiese, arrossendo appena.
«Sì, era. Perché insieme l’abbiamo realizzato. Smettila di pensare non sia vero e guarda oltre il balcone. Laggiù è radunato un vero e proprio esercito che siamo riusciti a formare in pochi anni. Un esercito che combatte per noi. Lo sai che neanche io all’inizio ci credevo, ma sei stata tu a trasformarlo in realtà.»

5. 
L’orologio da poco comprato al figlio era quasi distrutto nel suo palmo: il disegno della rosa incrinato, la gabbia dorata mancante di pezzi, non si sentiva nessun ticchettio, era rotto in maniera irreparabile.
«Aprilo, coraggio» lo invitò Maksim con una voce fintamente squisita. Come se stesse cercando di invogliare un bambino demotivato.
Le sue dita tremarono troppo e non riuscì a schiuderlo al primo tentativo. Non era solo per la lana del guanto che scivolava sopra il piccolo oggetto mezzo distrutto, non riusciva davvero a controllare quel tremolio spastico.
Quando riuscì ad aprirlo, guardò il vetro completamente scheggiato, lì dove le lancette si erano fermate alle 12:30 esatte.


Interessante.
Voi cosa ne pensate?

Buona lettura!

2 commenti:

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