Segnalazione:Un amore proibito:la trilogia completa e i raccontidiDaniela Tess
Segnalazione:
Un amore proibito:
la trilogia completa e i racconti
di
Daniela Tess
Buongiorno lettori,
oggi vi segnalo la trilogia "Un amore proibito: la trilogia completa e i racconti" di Daniela Tess.
Comprende:
1) Un amore proibito - Origini #1 trilogia;
2) Un amore proibito - Orgoglio #2 trilogia;
3) Un amore proibito - Oltre #3 della trilogia;
4) I Racconti di un amore proibito (due racconti spin off
della trilogia).
Biografia:
Lettrice compulsiva e scrittrice di romances. Vive a Roma,
della cui storia è un’appassionata. Ama viaggiare, adora l’estate e il mare,
elemento che ritiene un toccasana per il suo spirito, un naturale
antidepressivo. Sogna una casa con terrazzo dove far spaziare lo sguardo e dove
inseguire le sue visioni. Sì perché da quando ha iniziato a scrivere non si è
più fermata. Lei non “pensa” alle sue storie, lei le “vive” nella sua mente, le
appaiono come film precostituiti. Può solo assecondarle e seguire i caratteri
capricciosi dei personaggi che affollano la sua mente. Vorrebbe avere più tempo
per leggere e “creare trame” ma è anche consapevole di amare i suoi alunni e
ritiene l’insegnamento una “passione” a cui difficilmente potrebbe rinunciare.
Vedere occhioni spalancarsi di curiosità ed entusiasmo è un’emozione
irrinunciabile nonché una responsabilità grande e gratificante. L’avvicinamento
alla scrittura è stato graduale. Dapprima Daniela è stata una lettrice
onnivora, amante soprattutto di gialli e rosa. Dopo aver letto migliaia di
romances, un bel giorno, in un forum, raccolse una sfida: avrebbe provato a
scrivere una fan fiction storica, ambientata nell’Ottocento inglese. Il primo
capitolo nacque come d’incanto…finalmente le sue fantasie avevano la
possibilità di liberarsi e correre a briglia sciolta. Nel suo primo romanzo ha
messo gli elementi per lei ideali di una storia: un’eroina bella, dolce,
generosa e determinata a perseguire i suoi ideali e la felicità; un eroe forte,
onesto, romantico e passionale; un amore contrastato, inaspettati colpi di
scena e tanta introspezione psicologica. Daniela ama scavare nell’animo dei
suoi personaggi, rivelarne l’anima nascosta. Nelle sue storie, ricche di “coup
de theatre”, spesso nulla è come appare.
Sito: danielatess.com
Ig: @danielawritess
Fb: @danielawritess
Sinossi:
Alyce, secondogenita del conte di Rochford, è una giovane
donna di una bellezza assoluta e perfetta, molto dolce, generosa e attenta alle
esigenze degli altri. Benché educata secondo i rigidi dettami della nobiltà inglese,
è molto determinata a realizzare il suo sogno d'amore, e nasconde un'indole
ribelle capace di non assecondare i desideri paterni.
Lucas, moro e attraente, è uno stalliere che ha vissuto una
vita di stenti e privazioni tanto da diventare duro e cinico.
Di poche parole, non crede nell'amore, ha un'aria tenebrosa
ed è circondato da un'aura di pericolo.
Giorno e notte, luce e ombra... potranno mai incontrarsi e
amarsi?
Daniela Tess esordisce in self con “Un amore proibito:
Origini” a giugno del 2018, cui seguono “Un amore proibito: Orgoglio” e “Un
amore proibito: Oltre”. I tre capitoli, insieme alla pubblicazione speciale
“Racconti di un amore proibito”, sono contenuti in questa riedizione.
Alcuni numeri del successo:
🤍 Oltre due milioni di
pagine lette
🤍 1^ nelle classifiche
“ebook romantici per adolescenti e ragazzi
🤍 1^ nelle classifiche
“Storie d’amore di ambientazione storica per ragazzi”
🤍 3^ nella classifica
bestseller narrativa storica di Amazon
🤍 In top 50 bestsellers
Amazon( generale) per oltre 6 mesi
Un amore incancellabile, sarà la sua prossima pubblicazione,
prevista entro fine 2021.
Vi lascio anche degli estratti:
Estratto origini
Inghilterra 1810
«Senti, senti, cosa abbiamo qui? Una piccola
rivoluzionaria? Non pensavo che le bamboline avessero anche un cervello sotto
quei frivoli cappellini!» Alyce si girò di scatto, scioccata. Chi aveva osato rivolgersi
a lei in quel modo? Mai nessuno, in tutta la sua vita aveva osato parlare così
duramente alla figlia del conte di Rochford. Stava per rispondere a tono e
rimettere a posto quel villano ma si bloccò, o meglio si bloccò la sua voce e
il suo cuore. Un brivido di gelo, poi di calore le attraversò il corpo come una
scarica. La bocca era secca… ma cosa le stava succedendo? Davanti a lei c’era
un giovane uomo, uno stalliere probabilmente. Era alto, molto più alto di lei,
scuro, capelli neri. Un ciuffo ribelle gli era caduto sugli occhi. Mentre lo
toglieva dal viso, lei notò le sue mani, mani forti, abbronzate, dure, abituate
alla fatica ed al lavoro manuale, ma anche bellissime, con le dita lunghe e
magre. Una volta aveva visto un pianista con mani così, mani che sapevano
sfiorare ed accarezzare i tasti di un pianoforte. Si scosse. Cercò di
rispondere ma aveva la lingua legata. Lo guardò in faccia, negli occhi e fece
un altro errore. I suoi occhi erano neri, duri, freddi, indagatori, due fessure
buie, chiuse, senza luce. Mentre la guardavano non rivelavano nulla di sé ma
sembravano volerle entrare dentro e catturarle l’anima. Come se avesse intuito
l’effetto che le faceva, il giovane fece un sorrisetto ironico. Il suo sguardo
fu più impudente. Cominciò a squadrarla. Le accarezzò il corpo con lo sguardo.
Dove si posavano i suoi occhi lei si sentiva bruciare e formicolare. Continuava
a soppesarla, valutarla, audacemente, sfrontatamente come un uomo, come un
amante, come solo un marito, uno sposo, aveva il diritto di fare, senza il
rispetto e la discrezione che il loro diverso rango gli avrebbe imposto di
tenere. Alyce tremava sotto quell'esame. Era paralizzata. Dopo un tempo che le
parve interminabile sentì John dire: «Lucas, sei impazzito? Cosa ti prende? Non
sai chi è costei? E’ la figlia del conte di Rochford, il tuo padrone! Chiedile
immediatamente perdono! Scusatelo, Lady Alyce, questo ragazzo è appena
arrivato, è il nuovo stalliere e…» «John, non scusarti per me» lo interruppe
Lucas «so bene qual è il mio posto. Scusatemi Lady Alyce, il mio comportamento
è imperdonabile. Vedete» disse con un luccichio malizioso ed ironico negli
occhi «sono un umile e rozzo stalliere, poco abituato a trattare con dame del
vostro rango ma solo con animali e diseredati come me». Così dicendo le fece un
inchino beffardo che voleva sembrare di rispetto e soggezione ma che era, in
realtà, di derisione e disprezzo. Alyce, dopo la confusione iniziale, si sentì
attraversare da un fremito di rabbia. Cosa stava facendo? Permetteva ad un
umile sottoposto di trattarla così? Ricomponendosi, gli rispose: «Non si
preoccupi… signor? Lucas giusto? Capisco benissimo che sia poco abituato a
trattare con delle vere signore. Se vorrà mi renderò disponibile per un ripasso
delle buone maniere… ne ha davvero bisogno! John» disse rivolta al vecchio uomo
con il migliore dei suoi sorrisi stampato sul viso «Potreste preparare la mia
giumenta? Vorrei fare una cavalcata e visitare la tenuta. Dopo tutti questi
anni ho davvero il desiderio di vedere tutti i cambiamenti che ci sono stati».
Mentre parlava con il vecchio stalliere, Lucas continuò a guardare la
contessina e sorrise per il tentativo di lei di escluderlo, voltandogli le
spalle. Dal canto suo non era affatto tranquillo come voleva apparire, né, se per
questo, indifferente.
Estratto orgoglio
Londra 1812 Salone delle feste di Almack’s
Nel salone da ballo una raggiante Arianne tornava a
sedersi, accaldata, dopo l’ennesima danza con uno dei suoi numerosi
corteggiatori. «Zia» disse a Lady Marge «Dov’è finita Alyce? Non l’ho più
vista». «È uscita in terrazza con il duca di Tresham» le rispose sua zia con un
luccichio malizioso negli occhi. «Capisco» replicò altrettanto divertita la
nipote. Sua zia era incredibile: spiritosa, divertente, allergica alle stupide
convenzioni ma desiderosa solamente di vedere le persone care felici e di
cercare di esserlo lei stessa, per quanto possibile. Si rimise seduta; quella
quadriglia l’aveva davvero stancata. Intanto il suo cavaliere, il conte di
Felton, era andato a prenderle una bevanda al tavolo dei rinfreschi. Era
davvero un tipo interessante: biondo, occhi azzurri, affascinante e spiritoso,
forse leggermente viziato, non avendo praticamente mai fatto nulla nella vita a
parte aspettare di entrare in possesso della sua eredità; era comunque una
compagnia piacevole. Non le faceva battere il cuore ma d’altronde aveva
accantonato da tempo quelle sciocchezze. Lei e Alyce in questo erano molto
simili. Alyce non aveva accettato compromessi, aveva preferito un’esistenza solitaria
a un misero palliativo. Lei sarebbe stata capace di fare lo stesso? Certo non
c’era paragone tra la sua sciocca infatuazione di due anni prima e la tragedia,
devastante, vissuta da sua sorella. Le si strinse il cuore: magari, chissà…
questo duca di Tresham sembrava un tipo davvero interessante e da come aveva
guardato Alyce era già totalmente affascinato da lei. Si avvide che stava
tornando Lord Felton, allora accantonò quei pensieri e gli sorrise. Intanto
dall’altra parte della sala un uomo era appena arrivato. Si era messo anche lui
quella stupida maschera, fortunatamente era quasi mezzanotte. Era in ritardo ma
non aveva molta voglia di essere a quella festa. Dopo l’ultima, sanguinosa
guerra, temeva di essere cambiato, di non essere più lo stesso. Sorrise, salutò
alcuni ospiti. Era lì proprio per scuotersi da quell’apatia che lo aveva
afferrato dal suo ritorno tra i “civili”. Voleva tornare a essere l’uomo
spensierato e allegro di un tempo, la canaglia superficiale e divertente,
amante delle donne e della bella vita. Non gli piaceva quel nuovo se stesso
riflessivo e cupo, pensieroso. Quella era l’occasione giusta per rituffarsi nei
piaceri di una volta e recuperare quella “leggerezza”. Salutò il conte di
Wyngate «Vecchio mio, come stai?» «Finalmente sei tornato dai campi di
battaglia, caro Adrian… allora? Pronto per mettere la testa a posto? Si dice
che tuo padre sia stufo delle tue follie e voglia un erede prima di morire.
Vuole essere certo di lasciare il marchesato in buone mani, tu cosa ne pensi al
riguardo?» E rise fragorosamente. Adrian lanciò un’occhiataccia all’amico:
«Smettila, mi stai mettendo di cattivo umore. Stasera sono qui per divertirmi,
intendo ballare e voglio farlo con la dama più bella della serata anzi, con la
debuttante più affascinante. Mi divertirò a scandalizzare la madre prendendo la
figlia e trascinandola in un valzer pericoloso» rise. «Il titolo di marchese,
che presto sarà mio, mi dà una certa rispettabilità» aggiunse con un velo di
amarezza che l’amico non colse. «Guarda guarda quella fata laggiù! Uhm, non
sembra neanche una debuttante, non è scialba e infantile come le altre, sembra
più donna… ma chi è? Penso di non averla mai vista». L’amico scoppiò in
un’altra fragorosa risata. «Chi, quella? Non te la consiglio amico mio! Anche
se stasera è affascinante e soave ha una lingua tagliente che non ti
piacerebbe. Non fa per te credimi». «Invece voglio conoscerla. Ora chiederò a
qualcuno di presentarmi: è la donna più bella della festa e sarà con lei che
danzerò». «Fermati Adrian, prima di renderti ridicolo. È assurdo che tu non
riesca a riconoscerla, pur portando una maschera; per caso in guerra hai perso
la memoria? Possibile che non ricordi la contessina Arianne Rochford?». Adrian
si fermò, attonito. Per un lungo momento la osservò: e così quella era Arianne.
Il familiare senso di disagio che sempre aveva provato nei suoi confronti
riemerse; lo scacciò, infastidito. Certo che lei era davvero cambiata. Non era
più l’adolescente acerba e insignificante ma era diventata una vera bellezza.
Diversa dalla sorella ma comunque una bellezza: i capelli castano chiaro, con
riflessi dorati, erano raccolti in un’acconciatura elaborata con boccoli
leggeri che le ricadevano sulle spalle. Gli occhi erano nascosti ma quello che
poteva intuire del viso lo lasciò a bocca aperta: la bocca era più piena,
sensuale, carnosa; indossava un vestito bianco ma su di lei aveva un effetto
tutt’altro che innocente, era scollato e lasciava intravedere la pienezza del
seno. Le scivolava addosso sottolineando un corpo snello, perfetto. Era
attorniata da decine di ammiratori. Una traccia di buon senso gli disse di
voltarsi e andarsene ma come al solito scelse la strada più difficile. Nulla
era cambiato, disse a se stesso. Non voleva una moglie e non era certo il caso
di corteggiare una debuttante, eppure… quando si trattava di lei, non aveva mai
fatto la scelta giusta o saggia. Semplicemente gli faceva perdere il controllo
della situazione, era irritante ma anche maledettamente eccitante. Aveva
proprio bisogno di una sfida per tornare a sentirsi vivo e a distrarsi. Non
ascoltò l’amico che gli diceva di fermarsi, seguì un impulso folle e il suo
istinto. Arrivò davanti a lei che stava per alzarsi e ballare il valzer con un
idiota biondo. Lui interruppe gli sguardi complici che si lanciavano:
«Scusatemi Lady Arianne, credo che questo sia il mio ballo». Lei lo guardò
stupita, l’incantevole bocca aperta a formare un cerchio perfetto. Era
meravigliata e incredula, forse non si aspettava di vederlo. Prima che l’altro
cavaliere protestasse, approfittando della confusione di lei, la trascinò sulla
pista per ballare, finalmente insieme, per la prima volta.
Estratto oltre
Capitolo 1 Londra 1812 Residenza dei conti
Carlisle
La sala da ballo
rifulgeva di luci, colori, profumi. Jane era con suo marito all’ingresso, in
attesa di essere annunciata dal conte e dalla contessa di Carlisle. Era molto
emozionata, turbata. Odiava quei ricevimenti, odiava essere al centro
dell’attenzione. Quando era solo una stupida ragazza piena di sogni aveva
anelato a essere la reginetta della festa, insieme a quello che pensava sarebbe
stato il suo principe azzurro. Non che fosse bellissima, lo sapeva. Aveva
colori troppo chiari, una pelle troppo diafana, occhi celesti che sembravano
quasi trasparenti. Avrebbe tanto voluto essere diversa, mora, voluttuosa, con
le curve al punto giusto e non magra, esile, com’era. Forse, se fosse stata
diversa, suo marito l’avrebbe amata o quantomeno non avrebbe cercato le altre.
Tante altre. Ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di uscire. Non era
davvero il caso di abbandonarsi all’autocommiserazione. Non più. Era quasi
morta quando aveva capito, nel più brutale dei modi, che lui non l’amava, che
non l’aveva mai amata. L’aveva sposata solo per i suoi soldi. Glielo aveva
detto, e dimostrato, durante quegli anni. Si portò una mano al collo dove
portava i gioielli dei Rochford. Era l’unico ornamento prezioso. Una volta era
stata graziosa, desiderosa di piacere, di farsi ammirare. Ora era… non sapeva
più cos’era. Dentro si sentiva spenta, una vecchia ottuagenaria. Non era la
ragazza sognatrice di un tempo. Non amava più i vestiti e non seguiva la moda;
tanto tempo prima aveva creduto che se fosse stata à la page lui l’avrebbe
apprezzata. Anni di indifferenza, a volte di crudeltà, le avevano ben presto
fatto cambiare idea: era e sarebbe stata sempre un topolino, come amava
definirla, troppo insignificante, chiusa, timida, per lui. Troppo poco per
l’erede di una delle casate più antiche del regno. Tanto perfetto fuori quanto
marcio dentro. Lo guardò. Era bellissimo, così bello da farle ancora sentire
quella maledetta morsa allo stomaco. Alto, capelli nerissimi, con occhi blu,
freddi come il ghiaccio… penetranti, predatori, sensuali, pericolosi. Occhi che
la tormentavano di giorno e popolavano i suoi incubi di notte. Occhi che
conoscevano ogni centimetro di lei, che le ricordavano il suo abbandono e il
suo ferito, giovane amore. Le prese la mano, fredda: quella di lui bruciava. Un
brivido le attraversò il braccio. Cercò di divincolarsi. «Calma, topolino» le
sussurrò piano perché nessuno sentisse. «Salviamo almeno le apparenze, diamo
l’idea di essere una maledetta coppia felice». Già, le apparenze. L’unica cosa
che contava. Avevano attraversato un momento difficile, drammatico, due anni
prima. Ne erano usciti a fatica, salvando la casa e le proprietà dai creditori.
Jane non sapeva come lui avesse fatto. Sospettava che fosse una tregua, in
attesa della vera catastrofe. Codardamente preferiva ignorare ogni cosa che
riguardasse suo marito. Ciò che si ignorava non poteva fare male. Come
cambiavano i tempi! Una volta desiderava conoscere tutto di lui; ora preferiva
non sapere nulla. Se non avesse avuto paura che le impedisse di vedere i suoi
figli lo avrebbe lasciato. Sarebbe scappata lontano da quell’uomo che odiava
con la stessa ferocia e intensità con cui lo aveva amato. Lui non si confidava
con lei. E ora neanche lei anelava a quello. Le faceva paura e cercava di
stargli lontana. Ma forse, a farle paura, era qualcosa dentro di sé che non era
ancora morto, che non era ancora stata capace di uccidere. La stretta sul suo
braccio si intensificò: era il loro turno. Si preparò a esibire il suo sorriso
migliore, pregando che quella serata finisse presto. Voleva essere a casa, a
Rochford Manor, con i bambini. L’indomani sarebbe stata domenica, avrebbe
voluto partecipare alla funzione, parlare con il curato delle famiglie
bisognose della contea. Aveva tante idee, amava occuparsi degli altri, la
faceva sentire utile, “necessaria”, le dava un posto nel mondo, uno scopo.
Furono ricevuti e annunciati; insieme, sempre con la mano di lui che le teneva
il braccio, arrivarono nello splendido salone. Non avevano potuto declinare
quell’invito. Era obbligata, dai voti pronunciati, ad accompagnarlo a quegli
eventi anche se li detestava. Come un perfetto marito, Philip la condusse nella
danza d’apertura; era un ballerino magnifico al cui confronto lei spariva.
Faticava ad adeguarsi ai suoi passi lunghi, alla sua andatura sensuale,
prepotente. Ballava così come faceva l’amore: aggressivo, imperioso, dominante,
con un perfetto controllo di ogni muscolo. Arrossì. Come le era venuta
quell’idea? Erano secoli che non visitava più il suo letto. Ora gli serviva
solo come moglie da esibire e nient’altro; gli aveva dato due maschi sani, non
occorreva che si sforzasse ancora per giacere con lei. «Cos’hai?» Le chiese.
Era incredibile come, pur ignorandola, sembrasse sempre accorgersi di tutto ciò
che la riguardava, sembrava sempre leggerle dentro, come nessun altro sapeva
fare. Forse, insieme al suo seme, aveva accolto una qualche specie di veleno,
che gli permetteva di controllarla, di sentirla, di averla sempre alla sua
mercè. Arrossì ancora di più per la sconvenienza di quel pensiero. Cosa le
succedeva? Non faceva mai pensieri così volgari. Non era come le donne di cui
lui amava circondarsi. Eppure era la verità: si sentiva marchiata, posseduta da
qualche strana malìa, avvelenata nel profondo, incapace di sottrarsi a un
incantesimo malvagio. Alla fine della quadriglia, sempre insieme, andarono a
salutare delle coppie di vicini e conoscenti. Subito si ripeté la scena a cui
era tristemente abituata: le donne adoranti che occhieggiavano suo marito, che
gli parlavano, che lui stuzzicava, con cui rideva. Era brillante, colto,
affascinante, con un gran senso dell’umorismo. Tutte doti che non aveva mai
sprecato con lei. Sussultò quando la viscontessa Berkeley si avvicinò seducente
a lui. Un lampo di riconoscimento e un sorriso predatorio apparvero negli occhi
di Philip. Dunque era quella la sua ultima amante. Le chiacchiere che le sue
premurose amiche le avevano riportato erano vere. A un tratto vide che la
nobildonna si era fatta strada fino a lui che, circondato da dame bellissime,
le stava intrattenendo con aneddoti divertenti, dimenticandosi di sua moglie,
relegata in un angolo, fuori da quel cerchio di chiacchiere oziose. Ma la
goccia che fece traboccare il vaso fu vedere quella donna mora, affascinante e
voluttuosa, il suo esatto contrario, poggiare le sue grazie esposte da un
corpetto scollato sul braccio del marito. Che spudorata! All’improvviso si
sentì un pesce fuor d’acqua: odiava quella gente, quella falsità,
quell’ipocrisia, quella mancanza di rispetto! Si sentì soffocare: non poteva
avere un attacco di panico, non lì, non in quel momento, non di nuovo dopo
tutto quel tempo! Senza avvisare nessuno, e ignorata da tutti, scappò dal
salone per sfuggire alla ressa e cercare di ricomporsi. Philip vide con la coda
dell’occhio Jane avviarsi triste e sconsolata fuori dalla grande sala. Una
stilettata in quel buco nero che chiamavano cuore lo sorprese; non avrebbe
dovuto provare nulla, non certo rimorso, o dolore. Sapeva cosa aveva visto lei.
Susannah, la sua ultima amante, spudoratamente stava mettendo in mostra le sue
grazie. Jane non poteva sapere che erano mesi che non ne approfittava, non
poteva sapere che quella recita, da parte di lui, era solo a beneficio suo, per
tenerla lontana. La sentiva sempre di più, sentiva ogni suo sussulto, ogni
dolore, leggeva il suo viso e il suo corpo come un libro aperto. Non era
entrato solo nel suo corpo ma nella sua anima. E quello lo faceva infuriare.
Non voleva appartenere a nessuno, non poteva. Era un’anima nera, maledetta e se
davvero gli importava almeno un poco di sua moglie avrebbe dovuto tenerla
lontana da lui e dalla sozzura immonda della sua anima. Le aveva fatto troppo
male. Non sapeva fare altro che male. Lo aveva fatto persino alla sua stessa
sorella, Alyce, con cui aveva un legame di sangue. Eppure stette pazientemente
ad aspettare che lei tornasse, lanciando occhiate discrete verso le arcate di
ingresso del salone. Cominciò a tener conto del tempo che passava. Una sottile
ruga di preoccupazione gli corrugava la fronte mentre fingeva di flirtare con
quelle donne, mentre le paragonava a sua moglie e ne uscivano sconfitte, tutti
pavoni troppo colorati di fonte a un usignolo dolce e delicato. Tutte scollate,
con seni perfetti esibiti senza pudore da scollature troppo provocanti, tutte
con cipria e belletto. Jane era la formidabile eccezione con il suo vestito
semplice, i capelli raccolti e la pelle d’alabastro. La sua Jane che non
seguiva la moda, ma che era la più bella e desiderabile di tutte.
Interessante, cosa ne dite?
Buona lettura!
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