Segnalazione:
Socc’mel
diIvano Mingotti
Buongiorno lettori,
per Brè Edizioni vi segnalo il romanzo: "Socc’mel" di Ivano Mingotti.
Sì, Lui. Per la terza
volta di fila passa davanti a casa mia pattinando sulla via, avanti e indietro.
La veste lunga, di un bianco candido, una coroncina sulla testa, lunghi capelli
sulla carnagione olivastra. Sì, schettina direttamente sul cemento. Peccato che
non indossi nessun pattino, sta pattinando sulla strada a piedi nudi, così come
camminava un tempo sull’acqua, a quanto si dice. Perché non può essere che lui.
Gesù Cristo.
Rimango sbalordito a
osservarlo, il ciuchino che lo fissa mentre torna e va, torna e va di nuovo. Mi
chiedo se sia qui per me o se si stia solo divertendo, certo la coincidenza è
devastante. Tasto il bancone della cucina con la punta delle dita in cerca del
bicchiere d’acqua lasciato poco prima senza scollarmi dalla finestra, e non
riesco a slacciare gli occhi da Lui. È pure bravo, a pattinare. Insomma, mi
verrebbe da dire che pattina da Dio, ma è troppo scontata come battuta.
Alla quinta volta che
passa mi nota di sfuggita, e al suo ritorno fa un breve giro su se stesso
tenendo i piedi a papera, quindi si mette anche Lui a fissarmi. Rimaniamo così
per chissà quanto.
«Ehi!» mi strilla
dalla strada.
Io mi guardo intorno,
cerco alle mie spalle, quindi punto un dito sul mio petto, come a chiedere se
si stia rivolgendo davvero a me.
«Vedi qualcun altro?»
mi fa.
Scuoto la testa, no,
è ovvio che stia parlando con me.
«Ti ho visto che mi
spiavi» grida.
Gesticolo, gli faccio
capire che no, non stavo assolutamente spiando. Quello viene più vicino,
pattinando ora anche sull’erba del giardino, deviando per superare ciuchino con
una manovra elegante, quindi arrivando alla finestra, a pochi centimetri dalla
mia faccia. Batte sul vetro.
«Apri.»
Annuisco, e cerco un
modo per girare la maniglia. Sono nervoso, impacciato, ho davvero difficoltà ad
aprire.
«Va bene, ho capito»
e batte le mani. Incredibilmente, la finestra mi si apre davanti, come se il
vetro non fosse mai esistito, mentre una breve brezza prende a solleticarmi il
viso. Sento l’odore di Gesù Cristo, è buono: non so che profumo mi ricordi, ma
qualcosa di ricco, fruttato.
«Allora, perché mio
padre ti manda a spiarmi?» mi chiede.
«No no, io...»
«Dai, per favore. Non
c’è bisogno di fare tutti questi giri. Cosa ti ha promesso?»
«No no, sul serio,
non la stavo guardando, io...» cerco di farfugliare qualcosa.
«Come no.»
«No no, glielo
giuro!»
«Certo, stavi solo
sorseggiando un bicchiere di vino guardando le nuvole in cielo, vero?»
«No no, è acqua!» mi
volto per cercare il bicchiere e farglielo vedere. Lo prendo in mano, e appena
mi volto per mostrarglielo il contenuto si rabbuia, diventa violaceo, è tale e
quale al vino rosso. Porco cane.
«Eh lo so, succede.»
«Ma io...» farfuglio
di nuovo. Porto il bicchiere davanti al volto, cerco di capire.
«Piaciuto? Te l’ho
fatto addirittura no look. Figo, no?» sembra divertito.
«Sì, figo.»
«Assaggia, su.»
Annuisco. Porto il
bicchiere alla bocca con una certa paura, quindi butto giù un sorso. Che Dio mi
fulmini se non è Barbera.
«O preferivi un
Sangue di Giuda?» mi chiede, divertito.
«No no.»
«Allora, perché mi
vuol far spiare?»
«Non lo so, io ero
soltanto...» non faccio in tempo a finire la frase che mi ficca un indice teso
davanti alla bocca.
«Shhhh. Non c’è
bisogno. So benissimo quanto può essere persuasivo mio padre, su. Che ti ha
promesso, la vita eterna? Un posto alla sua destra? No, aspetta!»
«Cosa?» cerco di
mormorare, con la bocca mezza tappata dal suo dito.
«Un attico in
Paradiso. Ecco, lo sapevo, di nuovo. Santo cielo!» e finalmente mi toglie il
dito dalla bocca.
«Io non...»
«No no no, lo
capisco. Voi mortali siete così, non potete farci niente. Vi fanno una
promessa, vi prendete bene, e tac, ci cascate. Che poi non capisco perché
voglia farmi spiare. È la fine del mondo, potrò divertirmi un po’, no?»
Annuisco, sono
decisamente spaventato: ho notato sotto il dito teso una delle due stigmate, in
pieno palmo.
«Vabbè dai,
perdonato, non ti preoccupare. Ma tu come ti chiami, hai detto?»
«Pietro.»
«Ah sì, Pietro. Bel
nome eh. Eh, certo che... no no, scusami, solo brutti ricordi. Quando un amico
ti tradisce così, sai...»
«Ti tradisce?»
«Sì sì, tradisce,
tradisce. Ma roba di secoli fa, non preoccuparti. È che è un po’ una ferita
aperta» e si strofina il mento con la mano, la stigma in bella vista.
«Eh, aperta» mormoro.
«Che devo dirti la
verità, eh, dopo quella storia della crocifissione avevo anche una mezza idea
di mandarvi tutti a fanculo e chiedere a papà il favore di mandarvi
all’inferno, ma sai, mio padre non avrebbe mai accettato. Sai com’è, il suo
grande piano.»
«All’inferno?»
biascico.
«Sì, l’inferno. Sai,
quello con le fiamme altissime, i diavoli che ti pungono il sedere, le
punizioni. L’inferno, insomma. Te ne avrà parlato papà.»
«In realtà no.»
«Ma sì, Pietro, dai,
lo so che usa sempre la minaccia dell’inferno con voi, non fare il timido. A me
puoi anche dirlo, a volte è davvero antipatico. Sì, molto antipatico, a volte.
È che quando sei lassù ti credi chissà chi e... capisci?»
«Certo, certo» butto
giù un altro sorso di vino. Me ne servirebbe una bottiglia intera, diamine.
Continuo a fissargli le stigmate, e dalla fronte ha cominciato a scendergli una
lacrima di sangue.
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