Segnalazione:
Un amore incancellabile:
Ritorno
diDaniela Tess
Buongiorno lettori,
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Eve
è la giovane figlia del potente duca di Tresham. Ha vissuto per anni in un
collegio per giovani aristocratiche, lontana dagli affetti e dagli scandali. È buona, generosa, innocente,
come lo era sua madre Alyce. Tornata in seno alla sua famiglia, si prepara al
debutto in società, sognando un uomo
fedele e altruista, che la ami e la sposi. Incontra invece Richard: scuro,
pericoloso, con due occhi di ghiaccio. Lui è tutto ciò su cui l’hanno messa in
guardia fin da bambina. Lui è chi non dovrebbe mai guardare e a cui un’
innocente come lei non dovrebbe rivolgere neanche parola: libertino, cinico,
edonista. Un uomo che non ha il matrimonio tra i suoi obiettivi. Soprannominato il figlio del diavolo,
nasconde più di un peccato e di un segreto. Può un angelo innamorarsi del
diavolo? E può il diavolo, desiderare un angelo?
Tornano
gli eredi dei Tresham in un nuovo,
appassionante capitolo: passioni, tradimenti, colpi di scena, segreti
inconfessabili...amori incancellabili.
Primo
volume di una nuova trilogia. Non autoconclusivo.
Primo estratto
Richard
la conduceva nella danza sicuro, forte, autorevole. Eve si lasciava condurre, sostenuta
dalle forti braccia di lui. Sperava di non inciampare e di non essere goffa. Aveva
la ricorrente tentazione di guardare i propri piedi, di contare i passi. Non
aveva mai ballato così stretta a un uomo, a pochi centimetri dal suo torace, dal
suo viso, dal suo respiro. Lui si accorse del suo disagio: «Cosa avete?
Rilassatevi, vi guido io. Sembrerebbe quasi che non abbiate mai ballato un
valzer prima…»
Era ammutolita,
ma cosa le stava succedendo? Non era mai
rimasta a corto di argomenti. In quel momento rimpianse la
sua poca esperienza nella vita “di società” e nell’arte del corteggiamento. Non
sapeva cosa rispondergli. Come avrebbe voluto essere più esperta e sofisticata,
chissà come rideva di lei, dentro di sé! Chissà come doveva sembrargli sciocca!
Si scosse, dopotutto era una Tresham e parlò per spezzare quel silenzio e
l’incantesimo di quegli occhi.
«Non sono a disagio» mentì. «È che non mi
sono mai trovata prima in una situazione così sconveniente».
«Perché vi sembra una situazione sconveniente? Cosa c’è di così ambiguo?»
E la
guardò sfidandola a dirgli la verità. Lei alzò il viso e lo fissò, raccogliendo
la sua sfida. «Innanzitutto siamo troppo vicini, non siete alla dovuta distanza».
«Davvero?»
I suoi occhi brillavano: era divertito, rilassato ma allo stesso tempo vigile, come
un predatore. Lei si umettò le labbra. Quegli occhi di ghiaccio seguirono quel
movimento e rimasero a fissare la sua bocca. La sua voce si fece più bassa e
roca mentre le chiedeva: «E dove vi hanno insegnato qual è la giusta distanza?
Nel collegio che avete frequentato?»
«Cosa ne sapete voi?»
Era seccata dalla sua ironia. «Non mi
conoscete; non sono stata neanche degna di esservi presentata, come invece
altre nobildonne qui presenti».
Lui rise, una risata piena, soddisfatta. Eve vide di nuovo quella luce, quel
lampo ed ebbe ancora l’irritante sensazione che lui conoscesse dei segreti che
lei ignorava, che la conoscesse meglio di quanto lei conoscesse se stessa.
«Dato che ho presentato i miei omaggi solo alla contessa di Langley ne deduco
che vi riferiate a lei. Cos’è, siete gelosa? Mi lusingate. Se avessi saputo che
mi stavate aspettando sarei venuto molto prima. Non avrei fatto passare tutto
questo tempo…»
Era sempre più confusa. Lui diceva cose incomprensibili, era impudente,
sfacciato e faceva allusioni che non era sicura di capire. In quel momento
provava l’impulso di schiaffeggiarlo e di togliergli quel sorrisetto
soddisfatto dal viso. «Ma cosa dite? Non siate ridicolo» rispose con la massima
alterigia che riuscì a simulare. «Vi facevo semplicemente notare che non
eravamo stati adeguatamente presentati; se siete un nobile, come sembra, sapete
benissimo che è scandaloso rivolgere la parola a una dama che non si conosca,
figuriamoci chiederle un ballo».
La fissò con uno sguardo penetrante. «Allora perché avete accettato il mio
invito? Perché non mi avete rifiutato?»
«Come potevo farlo?
Non volevo creare uno scandalo e poi non umilierei mai nessuno con un
rifiuto pubblico».
Richard si irrigidì, premette un po’ più forte le dita lunghe, forti, scure, sulla
spalla candida di lei. «E’ solo per questo che avete accettato? Perché vi ho fatto pena? Sono molte le cose che voglio da voi e la
pena non rientra tra queste, non offendetemi».
«Non voglio offendervi, sto solamente
dicendo la verità. Vi sarete accorto che stavo per ballare con il duca di
Welbourne, voi vi siete messo in mezzo, a quel punto cosa dovevo fare?»
«Mentite». Adesso il tono di lui era basso, vibrante di collera e delusione a
malapena trattenute. Eve capì di aver ferito il suo orgoglio. In parte le
dispiaceva ma l’aveva spinta lui a dire quelle parole, con il suo fare
arrogante ed autoritario. Cercò comunque di rimediare, almeno in parte «Non
dovete offendervi: in fondo, io non so chi siate e perché abbiate voluto
danzare con me»
«Oh sì che lo sapete» le sussurrò sul collo. «Ve l’ho già detto: ho voluto
ballare con la donna più bella della sala, con la debuttante più affascinante.
Volevo stringervi tra le braccia». I suoi occhi ora mandavano lampi, le sue
parole erano dure, sembravamo minacce. «Se fosse per me, ora sareste attaccata
al mio torace e respirereste la mia stessa aria».
Eve arrossì, di nuovo; con quell’uomo
era impossibile non farlo, non rispettava le più elementari regole della
decenza. Le diceva cose intime, scandalose, come se lei fosse la sua donna, come
se gli appartenesse.
«Volevo avervi ad un centimetro e vedere da vicino se il vostro viso era così
sconvolgente, la vostra pelle così perfetta, le vostre labbra così tentatrici…»
Era scioccata. Nessuno le aveva mai parlato con tanta violenza e al contempo
tanta passione. Tremava per l’intensità di quello sguardo, per quella luce che
aveva scorto nei suoi occhi…desiderio?
Non ne era sicura, eppure…sembrava. Lei, dal canto suo, aveva i sensi
sconvolti: la sua pelle fremeva, le sue narici erano sature del profumo di lui,
un misto di colonia e virilità. «Non dovreste parlarmi così, non sta bene. Mi
state mancando di rispetto. Noi non siamo né amici né fidanzati, non siamo
nulla l’uno per l’altra. Non so neanche il vostro nome».
«Oh, vi prometto che presto saremo molto di più che semplici conoscenti; queste
sono solo stupide formalità e sciocche regole. Comunque, visto che ci tenete
tanto…sono Richard Glainsbourgh,
Marchese di Stanton, per servirvi».
«Siete un marchese? Non lo sapevo; io
sono…»
«So chi siete».
Lei rimase stupita. «Come fate a saperlo?»
«Ero nella sala da gioco quando siete arrivata, vi ho visto e vi ho
riconosciuta. Siete più donna, ora, più matura. Il vostro viso ha acquisito
maggior espressività e dolcezza, il vostro corpo è maturato; siete sbocciata in
un bellissimo fiore e avete mantenuto le promesse di quando vi ho conosciuta, sei
anni fa».
«Sei anni fa? Ma dove, come?» chiese
confusa.
«Non vi ricordate di me? Eppure io non ho mai potuto dimenticare il vostro
volto…ragazzina».
Secondo estratto
A grandi falcate si diresse verso
l’angolo della sala dove c’erano le ragazze che avevano poche possibilità di
danzare, ritenute poco “appetibili” sia per una scarsa avvenenza che per
mancanza di dote, cosa che le collocava automaticamente fuori dal mercato
matrimoniale. Non era la prima volta che si recava lì. Spesso aveva invitato
alcune di quelle giovani donne, non certo bellissime o ricche, perché potessero
divertirsi come le altre. Non avendo interesse particolare nei confronti di
nessuna, poteva scegliere più liberamente una compagna per le varie danze o
scegliere di non danzare affatto, come spesso era accaduto. Appena si avvicinò
a quel nutrito gruppo, sentì molteplici occhi speranzosi posarsi su di lui. Non
bastasse il suo titolo o la sua ricchezza, era la sua avvenenza a far sì che
raccogliesse molti consensi tra le nobildonne. Sapeva di essere bello, con due
genitori come i suoi non poteva essere altrimenti ma la sua bellezza, per lui,
era quasi un fastidio, era un qualcosa che lui non apprezzava più di tanto
volendo dimostrare di essere prima di tutto un uomo degno di raccogliere
l’eredità del duca di Tresham. Diede un’occhiata distratta. Si sentiva un po’
in colpa per quello che stava per fare ma d’altronde sarebbe stato uno scambio
equo. A lui serviva una compagna discreta, con cui ballare semplicemente senza
necessità di dover parlare. La lei in questione avrebbe avuto l’occasione di
ballare con l’erede di Tresham invece di fare da tappezzeria. Questo calmò la
sua coscienza. Guardò le probabili candidate e il suo sguardo si posò su ognuna
di loro per un breve momento. Era deciso ad invitarne una qualsiasi ma poi, dopo
averla sfiorata con lo sguardo tornò sull’unica, forse, che non lo stava
guardando speranzosa, anzi, sembrava quasi terrorizzata alla prospettiva di
essere notata. Simon ne fu colpito; chi era quella donna che non ambiva a danzare
con lui? La guardò meglio. Sicuramente era una nobildonna impoverita costretta
a fare da dama di compagnia. Si avvicinò e notò un corpo informe, nascosto da un
vestito grigio tortora molto accollato. Non si vedeva un solo lembo di pelle
nuda; era quella vestita più miseramente e in maniera meno vistosa. Inoltre
aveva coperto i suoi capelli con un’orribile cuffietta; sul viso portava degli
occhiali che la facevano sembrare un topo di biblioteca. Sorrise tra sé: proprio
quello che faceva al caso suo, una donna bruttina, scialba, che non avrebbe
fatto domande né intavolato una conversazione. Si avvicinò e vide che
parlottava con una sua vecchia conoscenza, la baronessa Rodelsky. Ottimo,
poteva ottenere una presentazione. Salutò la baronessa. «Lady Roslyn, posso
chiedervi di presentarmi la vostra amica? Non credo di conoscerla».
Le gentildonne presenti smisero di parlare dietro ai ventagli e lo fissarono.
La delusione era presente in molte di loro; anche la baronessa era
evidentemente delusa ma decise di fare buon viso a cattivo gioco. «Ma certo
Lord Simon, vi presento la mia dama di compagnia, Celeste Bowman». La donna in
questione ancora non lo guardava, era come se, fingendo di non essersi accorta
di nulla, potesse farlo sparire. Lui ebbe il dubbio che non fosse molto sveglia,
comunque insisté. «Signorina Celeste, è un piacere conoscervi. Potrei avere
l’onore di ballare con voi il prossimo valzer? Sempre che non siate impegnata» si
affrettò ad aggiungere. Quella precisazione fu da gentiluomo; tutti sapevano
che in quell’ala sostavano le donne meno affascinanti e ricercate, era quindi
molto probabile che fosse libera. La dama si voltò finalmente verso di lui; a
Simon sembrò un cerbiatto spaventato. Per un momento temette che volesse
rifiutarlo ma poi, in un sussurro appena accennato, rispose semplicemente «Onorata
milord» e posò una mano sulla sua. Simon, soddisfatto, la strinse per condurla
a ballare. Camminarono insieme, vicini, lei con la testa bassa e lui che
cercava di scrutarla e vederla in viso. Gli mostrava solo quella vecchia cuffia
orribile. Si misero al centro della sala; il ton stava spettegolando e
chiedendosi cosa gli fosse saltato in mente di invitare quella poverina, avendo
trascurato delle vere e proprie bellezze. Quella donna, intanto, alzò
leggermente la testa ma rimase a fissare la spilla che chiudeva il suo
fazzoletto. Simon cominciava a perdere la pazienza, era così goffa. Le strinse
la mano meravigliandosi di quanto fosse morbida e affusolata poi le mise un
braccio dietro la schiena per avvicinarla a sé. Rimase colpito dalla perfezione
del corpo e dalla vita sottile che andò a stringere ma fu nulla rispetto ai due
occhi turchesi che finalmente fissarono i suoi, occhi che neanche quel paio di
occhiali riuscivano a nascondere del tutto; occhi bellissimi, grandi, chiari, orlati
da lunghissime ciglia; occhi che contrastavano con tutto il resto. Fu colpito
non solo dalla bellezza di quelle due perle rare e preziose, che stridevano
miseramente con il resto, ma anche dall’intelligenza e dal candore che vi
scorse. Rimase sorpreso e, per un attimo, senza parole. Intanto il valzer
attaccò e lui sentì l’insopprimibile esigenza di stringere quel corpo flessuoso
più vicino a sé; la sentì irrigidirsi, mentre tremava con la mano nella sua.
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