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Ilaria Vecchietti, autrice del racconto "L'ultima chance...", e dei romanzi fantasy "La Libertà figlia del Diavolo", "L'Isola dei Demoni" e "L'Imperatrice della Tredicesima Terra". E altri racconti pubblicati in raccolte.

lunedì 23 ottobre 2017

L’AMMERIKANO di PIETRO DE SARLO

L’AMMERIKANO
di
PIETRO DE SARLO


Genere: romanzo narrativa / noir / thriller

Edizione: Europa Edizioni (2016)


Buongiorno lettori, 
oggi recensisco un romanzo che mi ha sorpreso molto e che mi aveva segnalato l’Agenzia letteraria Saper Scrivere (Saper scrivere si occupa di editoria a tutti i livelli: correzione di bozza, editing, scouting, traduzioni e impaginazioni, ghostwriting e anche ufficio stampa), che ringrazio ancora molto per avermi fatto conoscere questa storia.
L’Ammerikano è un romanzo molto particolare, un misto di thriller, noir e narrativa, dove al centro della vicenda ci sono due personaggi principali: il primo è Vincenzo, discendente di un’importante e nota famiglia del paese in cui sono ambientati i fatti (famiglia caduta comunque in disgrazia); il secondo è Wilber, un misterioso americano e lontano parente di Vincenzo (il quale non sapeva neppure della sua esistenza), che ritorna in Italia e porta scompiglio nella vita di Vincenzo e della placida quiete del paese.
Segreti e misteri oscuri e pericolosi sono presenti nel passato di Wilber, e chi ne farà spesa? Tutti quanti!
Non siete curiosi? Avanti, fidatevi, leggetelo e vi stupirà!
Una storia davvero molto coinvolgente dall’inizio alla fine, con personaggi e un’ambientazione realistica e interessante, che trascina completamente il lettore nelle sue pagine, come se vivesse questa avventura in prima persona.
L’autore ha saputo trasmettere molto bene le varie emozioni dei personaggi, e non solo dei due protagonisti, intrecciando il loro passato e il loro presente – e pure alcuni eventi realmente accaduti –, in un susseguirsi di eventi impossibile da immaginarseli prima.
La trama è molto ben narrata e con uno stile semplice, ma mai scontato, anche i vari salti temporali e l’alternarsi del punto di vista di tutti i personaggi non crea mai confusione, anzi aiuta il lettore ad avere una visione completa e a vedere la storia da più punti, facilitandolo anche a immedesimarsi maggiormente.
Tutto scorre molto lentamente, tra gli eventi e le descrizioni, ma niente è mai noioso o superfluo, ogni dettaglio è incastonato bene nella narrazione.
Consiglio a tutti di leggerlo, sia per la velocità in cui si divora e sia per le emozioni che dona ogni pagina.
Vi voglio lasciare con la prefazione dello stesso autore, con cui descrive il suo libro in maniera molto toccante e con cui fa molto riflettere ancora prima di iniziare il romanzo…

Quello che ho inteso scrivere è un libro sui contrasti.
Tra epoche diverse, diverse aree del mondo e soprattutto tra il solitario e doloroso percorso di vita del protagonista, l’Ammerikano, e la storia del suo antagonista, Vincenzo. Il primo fugge dal proprio passato muovendosi alla ricerca delle proprie origini, mentre il secondo evolve in tutt’uno con le vicende della sua nobile ed antica famiglia, gli Ametrano, e degli abitanti del piccolo borgo di Monte Saraceno di cui fanno parte.
Le origini, per tutti quelli che per scelta o necessità sono stati costretti a lasciare la propria terra, rappresentano un luogo dello spirito dove trovare rifugio, forza e conforto nei momenti difficili della vita. Tra quanti hanno vissuto l’esperienza amara dell’emigrazione è presente invero una quota consistente di persone che è riuscita a tagliare definitivamente i legami con le proprie radici, ma la gran parte sente sempre la costante e viva nostalgia di un mondo che nel pensiero si immagina perfetto, protettivo e rassicurante. Non sempre, però, esso si dimostra tale.
Proprio come per l’Ammerikano, che viene spinto dall’apparente casualità degli incontri e delle tremende prove che è costretto ad affrontare a trovare conforto, rifugio e protezione nelle proprie origini e a riscoprire il remoto passato della propria famiglia. Quando però questo incontro si concretizza, come quasi sempre avviene, rimane deluso e traumatizzato.
La ragione consiste nel fatto che chi emigra blocca nel momento del distacco, come in una fotografia, il mondo che ha lasciato e che sogna ancora intatto, ma che invece nel frattempo cambia e muta fino a divenire irriconoscibile. Quella fotografia viene consegnata come presente e reale alla memoria e ai propri discendenti.
Il libro è anche la storia dei piccoli centri montani, non solo lucani, che nel corso dell’ultimo secolo hanno mutato radicalmente le proprie condizioni di vita. Centri che solo sessanta anni fa erano economicamente autosufficienti e dove la società era rigidamente stratificata.
La motorizzazione di massa, più di ogni altra cosa, ne ha modificato le abitudini e sovvertito le gerarchie sociali ed il modo di vita. Una rivoluzione materiale ancora più importante per ampiezza e conseguenze di quella della diffusione di internet e dei telefonini. Un vero terremoto sociale ed economico che ha allontanato e divaricato economie e stili di vita tra il Sud e il Nord e tra le campagne e le città.
Mentre nel Meridione le strade si asfaltavano con il contagocce, il Piano Marshall industrializzava il nord Italia dove si svilupparono tutte le infrastrutture e le fabbriche che, affamate di manodopera, determinarono una emigrazione interna mai vista nella storia, spopolando il Sud. A supportare la speranza di una nuova e più felice esistenza contribuì non poco l’avvento della televisione, che propagandò modelli di comportamento e prodotti di consumo, dando la sensazione di una nuova ricchezza alla portata di tutti.
Il dolente e pirandelliano Vincenzo, co-protagonista della storia, assiste con distacco impotente al declino del proprio paese, della propria famiglia. Appare come un naufrago sconsolato e apatico legato indissolubilmente alla sorte della propria comunità. Comunità rassegnata e incapace di ribellarsi al proprio destino e che trova conforto solo nella memoria dei tempi andati.
A questo dramma corale si contrappone quello individuale del protagonista, l’Ammerikano, figlio dei nostri tempi: una figura dell’epoca postmoderna che lotta, privo di ogni solidarietà o comunione sociale, per la propria esistenza.
È una storia priva di vincitori. L’Ammerikano, Vincenzo, la gente di Monte Saraceno e gli altri coprotagonisti di questo racconto sono tutti inappellabilmente sconfitti.
Ritengo di aver scritto un libro veloce, con ritmi adatti a quelli a cui siamo stati abituati dalla tv e dai post sui social, e divertente, anche se qua e là ho introdotto degli inciampi.
Questi inciampi sono voluti, per fermare il pensiero e agevolare la riflessione. Li ho cercati, studiati.
Come nel primo capitolo, dove l’ambiente dei paesi lucani è descritto attraverso la storia della comunità e dei suoi protagonisti. Senza questo inciampo, questo rotolare nella memoria collettiva, l’ambientazione in cui si sviluppa la storia potrebbe apparire aliena, estranea e incomprensibile soprattutto ai giovani. Ed è la vecchia storia di Anchise che grava sulle spalle di Enea, condizionandone il passo e le possibilità di perseguire il suo scopo. Come per Enea, Anchise è sulle spalle di tutti quelli che hanno lasciato il sud di Italia, ma senza tenere per mano Ascanio, sostegno e speranza per il futuro, bensì una misera valigia di cartone come unico scoglio a cui aggrapparsi.
Oppure quando spiego i dettagli tecnici alla base di alcune vicende raccontate, senza i quali queste potrebbero apparire frutto di una fantasia non ancorata al reale, che invece offre più possibilità di quanto si possa immaginare.
Nel libro non c’è nulla di autobiografico, tranne le mie origini meridionali, ma in ogni personaggio c’è un piccolo pezzetto di me, così come in tutti i personaggi, che sono interamente frutto della mia fantasia, c’è un piccolo pezzo di persone che ho realmente conosciuto e incontrato.
Maurizio Vettorato e Isotta Como sono tra queste. Il primo è un alpinista bolzanino che traversa in solitario gli oceani su barchette poco più grandi di una tinozza. La seconda è una guida esperta, per i diportisti, di tutti gli anfratti del Mediterraneo. Neanche con il massimo sforzo di fantasia avrei potuto immaginare degli skipper più adatti, per il mio racconto, di questi due amici.
Scrivere un romanzo per me non è solo scrivere una storia, ma anche generare domande e interrogativi per riflettere su noi stessi, sulla nostra società e sulla nostra condizione, sospesa tra le scelte libere e quelle obbligate dal destino, però senza mai prendersi troppo sul serio e con un po’ di sana ironia.
Questo non è un romanzo, come tutti i romanzi, adatto ai cultori dei social o a quelli che leggono solo i titoli dei giornali.
Per cui, prima di iniziare la lettura chiedetevi: “Se io fossi contemporaneo di Giulio Cesare leggerei il De Bello Gallico o mi limiterei al suo tweet: Veni Vidi Vici?”

Buona lettura!


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