L’AMMERIKANO
di
PIETRO
DE SARLO
Genere: romanzo narrativa / noir / thriller
Edizione: Europa
Edizioni (2016)
Buongiorno lettori,
Buongiorno lettori,
oggi
recensisco un romanzo che mi ha sorpreso molto e che mi aveva segnalato l’Agenzia letteraria Saper Scrivere (Saper scrivere si occupa di editoria a tutti i livelli: correzione di bozza, editing, scouting, traduzioni e impaginazioni, ghostwriting e anche ufficio stampa), che ringrazio ancora molto per avermi
fatto conoscere questa storia.
L’Ammerikano è un romanzo molto particolare, un
misto di thriller, noir e narrativa, dove al centro della vicenda ci sono
due personaggi principali: il primo è Vincenzo, discendente di un’importante e
nota famiglia del paese in cui sono ambientati i fatti (famiglia caduta
comunque in disgrazia); il secondo è Wilber, un misterioso americano e lontano
parente di Vincenzo (il quale non sapeva neppure della sua esistenza), che
ritorna in Italia e porta scompiglio nella vita di Vincenzo e della placida
quiete del paese.
Segreti e
misteri oscuri e pericolosi sono presenti nel passato di Wilber, e chi ne farà
spesa? Tutti quanti!
Non siete
curiosi? Avanti, fidatevi, leggetelo e vi stupirà!
Una storia
davvero molto coinvolgente dall’inizio alla fine, con personaggi e
un’ambientazione realistica e interessante, che trascina completamente il
lettore nelle sue pagine, come se vivesse questa avventura in prima persona.
L’autore ha
saputo trasmettere molto bene le varie emozioni dei personaggi, e non solo dei
due protagonisti, intrecciando il loro passato e il loro presente – e pure
alcuni eventi realmente accaduti –, in un susseguirsi di eventi impossibile da
immaginarseli prima.
La trama è
molto ben narrata e con uno stile semplice, ma mai scontato, anche i vari salti
temporali e l’alternarsi del punto di vista di tutti i personaggi non crea mai
confusione, anzi aiuta il lettore ad avere una visione completa e a vedere
la storia da più punti, facilitandolo anche a immedesimarsi maggiormente.
Tutto scorre
molto lentamente, tra gli eventi e le descrizioni, ma niente è mai noioso o
superfluo, ogni dettaglio è incastonato bene nella narrazione.
Consiglio a
tutti di leggerlo, sia per la velocità in cui si divora e sia per le emozioni
che dona ogni pagina.
Vi voglio
lasciare con la prefazione dello stesso autore, con cui descrive il suo libro
in maniera molto toccante e con cui fa molto riflettere ancora prima di
iniziare il romanzo…
Quello che
ho inteso scrivere è un libro sui contrasti.
Tra epoche
diverse, diverse aree del mondo e soprattutto tra il solitario e doloroso
percorso di vita del protagonista, l’Ammerikano, e la storia del suo
antagonista, Vincenzo. Il primo fugge dal proprio passato muovendosi alla
ricerca delle proprie origini, mentre il secondo evolve in tutt’uno con le
vicende della sua nobile ed antica famiglia, gli Ametrano, e degli abitanti del
piccolo borgo di Monte Saraceno di cui fanno parte.
Le
origini, per tutti quelli che per scelta o necessità sono stati costretti a
lasciare la propria terra, rappresentano un luogo dello spirito dove trovare
rifugio, forza e conforto nei momenti difficili della vita. Tra quanti hanno
vissuto l’esperienza amara dell’emigrazione è presente invero una quota
consistente di persone che è riuscita a tagliare definitivamente i legami con
le proprie radici, ma la gran parte sente sempre la costante e viva nostalgia
di un mondo che nel pensiero si immagina perfetto, protettivo e rassicurante.
Non sempre, però, esso si dimostra tale.
Proprio
come per l’Ammerikano, che viene spinto dall’apparente casualità degli incontri
e delle tremende prove che è costretto ad affrontare a trovare conforto,
rifugio e protezione nelle proprie origini e a riscoprire il remoto passato
della propria famiglia. Quando però questo incontro si concretizza, come quasi
sempre avviene, rimane deluso e traumatizzato.
La ragione
consiste nel fatto che chi emigra blocca nel momento del distacco, come in una
fotografia, il mondo che ha lasciato e che sogna ancora intatto, ma che invece
nel frattempo cambia e muta fino a divenire irriconoscibile. Quella fotografia
viene consegnata come presente e reale alla memoria e ai propri discendenti.
Il libro è
anche la storia dei piccoli centri montani, non solo lucani, che nel corso
dell’ultimo secolo hanno mutato radicalmente le proprie condizioni di vita.
Centri che solo sessanta anni fa erano economicamente autosufficienti e dove la
società era rigidamente stratificata.
La
motorizzazione di massa, più di ogni altra cosa, ne ha modificato le abitudini
e sovvertito le gerarchie sociali ed il modo di vita. Una rivoluzione materiale
ancora più importante per ampiezza e conseguenze di quella della diffusione di internet
e dei telefonini. Un vero terremoto sociale ed economico che ha allontanato e
divaricato economie e stili di vita tra il Sud e il Nord e tra le campagne e le
città.
Mentre nel
Meridione le strade si asfaltavano con il contagocce, il Piano Marshall
industrializzava il nord Italia dove si svilupparono tutte le infrastrutture e
le fabbriche che, affamate di manodopera, determinarono una emigrazione interna
mai vista nella storia, spopolando il Sud. A supportare la speranza di una
nuova e più felice esistenza contribuì non poco l’avvento della televisione,
che propagandò modelli di comportamento e prodotti di consumo, dando la
sensazione di una nuova ricchezza alla portata di tutti.
Il dolente
e pirandelliano Vincenzo, co-protagonista della storia, assiste con distacco
impotente al declino del proprio paese, della propria famiglia. Appare come un
naufrago sconsolato e apatico legato indissolubilmente alla sorte della propria
comunità. Comunità rassegnata e incapace di ribellarsi al proprio destino e che
trova conforto solo nella memoria dei tempi andati.
A questo
dramma corale si contrappone quello individuale del protagonista, l’Ammerikano,
figlio dei nostri tempi: una figura dell’epoca postmoderna che lotta, privo di
ogni solidarietà o comunione sociale, per la propria esistenza.
È una
storia priva di vincitori. L’Ammerikano, Vincenzo, la gente di Monte Saraceno e
gli altri coprotagonisti di questo racconto sono tutti inappellabilmente
sconfitti.
Ritengo di
aver scritto un libro veloce, con ritmi adatti a quelli a cui siamo stati
abituati dalla tv e dai post sui social, e divertente, anche se qua e là ho
introdotto degli inciampi.
Questi inciampi sono voluti, per fermare
il pensiero e agevolare la riflessione. Li ho cercati, studiati.
Come nel
primo capitolo, dove l’ambiente dei paesi lucani è descritto attraverso la
storia della comunità e dei suoi protagonisti. Senza questo inciampo, questo
rotolare nella memoria collettiva, l’ambientazione in cui si sviluppa la storia
potrebbe apparire aliena, estranea e incomprensibile soprattutto ai giovani. Ed
è la vecchia storia di Anchise che grava sulle spalle di Enea, condizionandone
il passo e le possibilità di perseguire il suo scopo. Come per Enea, Anchise è
sulle spalle di tutti quelli che hanno lasciato il sud di Italia, ma senza
tenere per mano Ascanio, sostegno e speranza per il futuro, bensì una misera
valigia di cartone come unico scoglio a cui aggrapparsi.
Oppure
quando spiego i dettagli tecnici alla base di alcune vicende raccontate, senza
i quali queste potrebbero apparire frutto di una fantasia non ancorata al
reale, che invece offre più possibilità di quanto si possa immaginare.
Nel libro
non c’è nulla di autobiografico, tranne le mie origini meridionali, ma in ogni
personaggio c’è un piccolo pezzetto di me, così come in tutti i personaggi, che
sono interamente frutto della mia fantasia, c’è un piccolo pezzo di persone che
ho realmente conosciuto e incontrato.
Maurizio
Vettorato e Isotta Como sono tra queste. Il primo è un alpinista bolzanino che traversa
in solitario gli oceani su barchette poco più grandi di una tinozza. La seconda
è una guida esperta, per i diportisti, di tutti gli anfratti del Mediterraneo.
Neanche con il massimo sforzo di fantasia avrei potuto immaginare degli skipper
più adatti, per il mio racconto, di questi due amici.
Scrivere
un romanzo per me non è solo scrivere una storia, ma anche generare domande e
interrogativi per riflettere su noi stessi, sulla nostra società e sulla nostra
condizione, sospesa tra le scelte libere e quelle obbligate dal destino, però
senza mai prendersi troppo sul serio e con un po’ di sana ironia.
Questo non
è un romanzo, come tutti i romanzi, adatto ai cultori dei social o a quelli che
leggono solo i titoli dei giornali.
Per cui,
prima di iniziare la lettura chiedetevi: “Se io fossi contemporaneo di Giulio Cesare leggerei il De
Bello Gallico o mi limiterei al suo tweet: Veni Vidi Vici?”
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