Segnalazione:
L’anatema dei sette peccati
di
Davide Fresi
Buongiorno lettori,
La segnalazione di oggi riguarda un romanzo storico / fantasy: L'anatema dei sette peccati di Davide Fresi.
Biografia:
Biografia:
Mi chiamo
Davide Fresi. Sono nato a Sassari nel 1977. Nel 1996 ho conseguito il diploma
presso il Liceo Classico Domenico Alberto Azuni di Sassari. Nel 2004 ho
conseguito la laurea in Lettere Classiche indirizzo archeologico presso la
facoltà di Lettere e Filosofia di Sassari. Nel 2014 ho pubblicato con l’editore
Youcanprint il romanzo Alessandro Magno e i prescelti venuti dal futuro. Da poco
è in vendita il mio nuovo romanzo L’anatema dei sette peccati.
Genere: storico / fanatsy
Editore: Youcanprint
Data di pubblicazione: 3 Aprile 2017
Numero pagine: 228
Prezzo ebook: 1,99€
Prezzo cartaceo: 13,90€
Link per l'acquisto:
Sinossi:
La narrazione è ambientata nell’antica Roma e vede protagonisti due
mercanti, Fedro e Polibio. In virtù dei carismi profetici che mostrano di
possedere, essi vengono introdotti da Tiberio Cesare nel fasto della corte
romana. Tuttavia, l’avidità di Fedro minaccia l’incolumità di entrambi. Il
prefetto del pretorio Marcello tende un tranello che compromette la loro
posizione. In carcere essi conoscono un uomo che con i suoi lumi porta Fedro a
cambiar vita. Presto irrompono nella vita dei protagonisti Gesù di Nazareth e
altri personaggi storici dal grande carisma. Le disavventure si susseguono una
dopo l’altra. Aleggia sullo sfondo degli eventi la ferocia dei governanti
romani che non esitano a spargere il sangue di innocenti. Ogni volta che le
aspettative paiono compromesse, la Provvidenza mostra il suo volto benevolo,
dissolvendo la nebbia che rende incerto il cammino dei due mercanti. Finché non
avviene l’irreparabile… Troverà realizzazione l’anatema che il Nazareno rivolge
agli oppressori del popolo? Riuscirà il perfido Marcello a soddisfare la sua
morbosa ambizione? Questi sono alcuni temi di una narrazione che appassiona sin
dalle primissime pagine.
Vi lascio con l'incipit:
Vi lascio con l'incipit:
INCIPIT
Capitolo
I
Tutto ebbe
inizio una mattina dell’anno 335 a.C., sotto il cielo terso dell’Attica, ad
appena qualche chilometro dalla celebrata città di Atene.
Polibio e il
suo socio in affari Fedro erano in viaggio con il loro seguito di carri, colmi
di merce pregiata, e di schiavi. Stavano per concludere delle importanti
vendite. Essi, dopo aver affrontato una lunga traversata, poche ore prima erano
finalmente sbarcati nel porto del Pireo. Ormai li circondava una fitta
vegetazione.
Durante un
momento di tregua dalla sollecita marcia, i due mercanti si isolarono dalla
comitiva discutendo animatamente di una gravosa questione. Per preservare il
riserbo delle confidenze, si scostarono dal gruppo dei fidati schiavi quel
tanto sufficiente a sottrarsi dalla loro attenzione.
Il fermento
era dovuto al presunto furto di un monile di cui alcuni servitori accusavano
Maysun, un loro giovane compagno. Da tempo erano sorti dei dissapori perché
questi aveva coraggiosamente denunciato le abituali prepotenze esercitate dagli
schiavi più anziani.
La
sensibilità che caratterizzava Polibio gli imponeva di acclarare per bene i
fatti. Egli sapeva perfettamente fino a quali estremi potesse giungere
l’acredine dei prepotenti. Aveva constatato come simili individui fossero
soliti attribuirsi dei diritti usurpati senza alcun ritegno. Ingiustizie di tal
fatta erano inconciliabili con i princìpi che animavano la sua coscienza.
- Ti ripeto
che non intendo negare a Maysun il diritto di difendersi dall’accusa che gli è
stata rivolta. Potrebbe trattarsi di una calunnia, - sostenne Polibio,
scontrandosi con la rozza superficialità del partner. La stessa con cui spesso
aveva dovuto fare i conti.
- Già. Ma non
è la prima volta che lo sorprendiamo a rubare. Dobbiamo punirlo come merita.
Gli farò infliggere trenta frustate. Penso che possano bastare. Vedrai che in
futuro si asterrà dal compiere simili misfatti, - ribatté Fedro, soffocando il
buon senso che gli gridava dentro.
- In realtà
ho l’impressione che il presunto furto sia una messinscena. Sospetto che i suoi
accusatori vogliano vendicare dei torti subiti. È necessario sentire le parti
in causa per chiarire i fatti. Mi rifiuto di mortificare un uomo senza prima
dare luogo a un giusto processo, - insistette Polibio con una fermezza che si
conciliava con il suo abituale modo di agire.
- Come sempre
vuoi negare l’evidenza. È chiaro che è colpevole, - non si piegò Fedro.
- Alla luce
di quali elementi puoi affermare ciò? Tu al suo posto, prima di ricevere delle
vergate sulla schiena, vorresti essere ascoltato, - lo incalzò Polibio,
attingendo a tutta la sua saggezza.
D’un tratto
un famelico gatto, insidiando un topo, si lanciò dalla cima di un albero verso
un cespuglio.
Il tonfo che
ne seguì interruppe per sempre il discorso intrapreso.
Esso rimase
sospeso nel vuoto di quella giornata che era destinata a ridisegnare la loro
esistenza. Di ciò essi ne furono consapevoli non appena si voltarono.
La loro
attenzione fu catturata da una massiccia struttura in metallo che si poteva
scorgere tra una massa di fogliame secco e legno rattrappito.
Di fronte a
questa scoperta rimasero di stucco.
Essa esulava
da tutto ciò che aveva sempre fatto parte del loro mondo. Dall’interno del
misterioso congegno filtrava, attraverso una sorta di stretto sportello semiaperto,
un fascio di luce sconosciuto. I due mercanti non ne avevano mai visto uno
simile in tutta la loro esistenza, neanche nei più reconditi sogni. All’istante
dimenticarono persino dove si trovassero. E con le mani che tremavano per
l’emozione, s’impegnarono a liberare l’ingresso dal fogliame e dai rami.
Esplose dentro di loro il violento impulso di scoprire in cosa si fossero
imbattuti.
Quindi con
ogni precauzione spalancarono lo sportello.
Entrati
intrepidamente dentro l’oscuro dispositivo, ebbero la sensazione che in
quell’angolo di terra il tempo si fosse come fermato. Non riuscivano a venir
fuori dallo stupore che li annebbiava. Che quanto avevano ritrovato abbandonato
nel mezzo della campagna fosse una diavoleria prodotta dagli spiriti del male? Si
diceva che, quando dominavano le tenebre, simili entità fossero solite
flagellare quelle sciagurate terre. E cosa significavano poi quei numeri che
essi leggevano sopra un pannello animato da una arcana luce? Che sancissero la
fine della loro esistenza?
Fedro, come
suo solito, non rimase a lungo inerte. E cominciò ad azionare senza criterio le
strane manovelle che campeggiavano su una parete. Così egli cercava di
attenuare l’inquietudine che scaturiva dall’assoluta incapacità di trovare una
risposta a innumerevoli domande. Polibio da parte sua percepì il pericolo che
una simile iniziativa rappresentava. E senza giri di parole lo redarguì:
- Fermati!
Vuoi forse attirare il castigo degli dèi con la tua noncuranza?
- Voglio solo
capire cosa la sorte ci ha fatto trovare in questo sentiero sperduto…
Polibio
sapeva che quello era l’irresistibile desiderio di entrambi. Ma occorreva
essere prudenti. Mentre Fedro persisteva ostinatamente a sfidare la sorte,
insinuando le mani laddove non avrebbe dovuto, il compagno fu folgorato da
quanto rinvenne alle sue spalle.
Si trovò
davanti centinaia di indefinibili oggetti che non aveva mai visto prima,
neanche nelle più fantasiose immaginazioni. Si trattava di una serie di
ordinate pile di arnesi che a uno sguardo attento, per via delle scritte che
recavano impresse, potevano essere identificati come dei manoscritti. Per un
momento egli vacillò davanti a quella sequenza infinita di scritte in latino
che peraltro riusciva a decifrare, essendo originario di Roma; aveva ancora
nitidi i ricordi della sua giovinezza trascorsa proprio fra i sette colli della
città eterna, prima di dedicarsi al commercio in giro per il mondo.
Per lunghi
secondi ignorò perfino chi egli fosse.
Non riusciva
a leggere nella realtà che gli era franata addosso. Poco dopo invitò il socio a
voltarsi per renderlo partecipe della straordinaria scoperta, avvenuta
all’interno di qualcosa che era, se possibile, ancor più misterioso.
- Cosa… - le
parole si spezzarono sulle labbra di Fedro. I suoi occhi rimasero spalancati. E
il respiro gli divenne incerto.
Avvinti dalla
superstizione che li animava, cominciarono a pensare di essere vittime di un
diabolico sortilegio. Proprio quando si apprestavano a fuggire da ciò che essi
per istinto riconobbero essere la porta d’accesso all’Ade, l’ingresso della
macchina infernale si chiuse automaticamente. Quindi qualcosa si azionò facendo
sperimentare ai due uomini il peggiore dei loro incubi.
Si produssero
oscillamenti e potenti vibrazioni. Risuonarono sordi boati e vibranti echi. Si
alternarono rapidamente un calore intenso e un freddo pungente. Finché infine
tutto cessò, lasciando nondimeno senza fiato gli sventurati.
Essi si
guardarono in faccia convinti che il congegno li avesse proiettati
nell’oscurità infernale, alle cui porte avrebbero incontrato il mostruoso cane
Cerbero e Minosse, Eaco e Radamanto avrebbero giudicato la loro condotta
terrena.
Dunque, nello
spazio di una manciata di secondi ogni cosa si era quietata fra quelle
metalliche pareti che essi, solo un attimo prima, pensarono fossero prossime a
comprimerli in una funerea morsa. Con un pur labile senso di sollievo
ricominciarono a percepire il proprio ansimante respiro. Il loro cuore batteva
più che mai vorticoso nel petto, parendo sul punto di esplodere e schizzare
ovunque tutto il purpureo sangue che fra le sue pieghe scorreva. A quel punto
entrambi chiusero gli occhi come se, così facendo, potessero fermare il corso
dell’indefinibile giornata che stavano vivendo. Ancora quell’esperienza
inquietante non aveva espresso la sua sentenza.
Polibio
richiamò l’attenzione del compagno sulla luminosa scritta che risaltava poco al
di sopra delle manovelle. Essa di colpo si era come aggiornata:
- 335 avanti
Cristo, - lesse con un filo di voce, guardando alla sua sinistra, e poi
continuò seguendo con gli occhi l’enigmatica didascalia: - 27 Anno Domini… Cosa
mai può significare tutto ciò?
- A mio
avviso sto per sperimentare la collera degli dèi per tutte le frodi che ho
praticato a scapito di miserabili che meritavano tutt’altro, - azzardò Fedro,
assaporando già il gusto amaro che accompagna il castigo delle proprie colpe.
- C’è solo un
modo per scoprirlo. Si tratta di andare incontro al nostro destino uscendo
fuori da questo congegno infernale… - e, mentre diceva ciò, Polibio, esitando,
allungò la sua incerta mano verso la manopola dello sportello. O essa avrebbe
restituito loro la libertà o, con un riverbero orribile, li avrebbe consegnati
a eterni supplizi.
Gli
sventurati si chiedevano quale spettacolo terrificante li avrebbe travolti
oltrepassando quella labile soglia che ancora li proteggeva dal repentino
materializzarsi dei loro più inquietanti incubi. Forse che li attendeva ansioso
di punirli Plutone, il temuto dio dei Mondi sotterranei, il quale ne avrebbe
sancito la condanna a mille anni di atroci sofferenze fra fiamme ustionanti,
lacerazioni fisiche, visioni orribili, miasmi soffocanti e una disperazione
senza tregua? Certamente questa era la credenza divulgata dall’insigne Platone
in relazione ai più indegni fra gli uomini, prima che ne avvenisse la reincarnazione
in un nuovo involucro corporale e traesse così origine un altro ciclo vitale.
Quale maledizione era dunque piombata su di loro proprio quel giorno, che prima
dell’ora fatidica, pareva scivolare quieto e docile come tanti altri?
L’indugio non
poteva protrarsi oltre.
Polibio
afferrò la strana manopola e in qualche modo riuscì a produrre uno scatto. A
seguito di ciò lo sportello lievemente si aprì. Un timido bagliore di sole si
fece spazio fra quelle anguste pareti. Eppure, in effetti, non pareva che delle
creature orribili li stessero realmente aspettando all’esterno, assetate di
sangue e pronte a fare scempio di loro. Che quel raggio di luce piuttosto fosse
un assaggio della pace che accarezza senza fine le anime dei giusti negli
sconfinati Campi Elisi? Davvero non sapevano più cosa pensare.
- Pare che il
sole splenda più che mai… - disse Fedro appena uscì all’esterno insieme al
compagno. Quelle prime sensazioni quietarono un poco la loro dirompente
angoscia.
In apparenza
il paesaggio naturale non era cambiato da come lo avevano lasciato poc’anzi.
Ovunque svettavano imponenti querce, cipressi e pini carichi di frutto. I
ginepri continuavano a spandere intorno a sé un intenso profumo. Più in basso,
fra i folti cespugli, il movimento prodotto da piccoli animali alla frenetica
ricerca di cibo testimoniava il persistere delle dinamiche della vita. Nel
cielo i volatili tracciavano senza sosta le loro parabole, alla ricerca di
insetti con cui poter nutrire i propri piccoli che, affamati, pazientavano
tutto il tempo nei nidi. La natura dominava incontrastata. Fra quei rigogliosi
alberi la realtà umana, con tutte le sue contraddizioni, non faceva sentire il
suo fiato.
- Non riesco
a capire… - sentenziò Polibio. - Quale diabolico scherzo ci ha riservato il
destino?
- Non ci
resta altro da fare che ritornare senza indugio presso la carovana e provare a
dimenticare questa singolare esperienza. Qualsiasi significato essa racchiuda.
La seppelliremo nei nostri ricordi, - ragionò Fedro.
Eppure,
raggiunto il sentiero a pochi metri di distanza, essi non ritrovarono alcuna
traccia del nutrito convoglio, composto da decine di carri carichi di ogni
genere di mercanzia, che con la sua imponente mole era diretto verso Atene. Per
lunghi minuti, dimenandosi, perlustrarono la strada sterrata oltre ogni
svincolo e ogni barriera visiva costituita da grossi alberi o dalla fitta
vegetazione.
Tuttavia,
niente.
A quel punto
si guardarono in faccia a bocca aperta, chiedendosi come potesse d’un tratto
essersi volatilizzato ciò che, secondo ragionevolezza, avrebbe dovuto occupare
ampiamente quel remoto sentiero.
Dunque, era
veramente successo qualcosa d’imponderabile.
In quegli
istanti davanti a loro una leggera brezza increspò i rami frondosi di alti
sicomori. Essi parvero assumere le sembianze di inquietanti creature intente
impietosamente a sorridere della devastante paura che li pervadeva. Ogni cosa
pareva prendersi gioco di loro.
- Vedo in
tutto ciò la potente mano di Giove, governatore del cielo e della terra, -
osservò, senza riuscire a fermarsi un attimo, Polibio.
- Ma che
senso può avere quanto stiamo vivendo? - Non si dava pace Fedro.
- Io penso
che la risposta alla tua domanda la possiamo trovare solo tornando laddove
quest’oggi ha avuto origine ogni nostra sventura.
- Non so se sia
una buona idea.
- Qualora
pure ci attenda un amaro destino, preferisco affrontarlo da uomo come avrebbero
fatto i nostri nobili antenati, piuttosto che nascondermi in un cantuccio o
scappare vilmente al pari di un ignobile coniglio, - affermò con uno scatto
d’orgoglio Polibio.
- Non posso
certo essere da meno…
Non
impiegarono molto a individuare nuovamente fra la vegetazione l’imponente
congegno. Si ergeva ancora minaccioso e inquietante. Quando ormai erano sul
punto d’introdursi al suo interno, dalle nubi appena addensatesi nel cielo
saettò un potente fulmine che andò a infrangersi, squarciandolo, su di un alto
olmo proprio a due passi da loro. La mente intrisa di superstizione degli
sventurati giudicò questo come un ulteriore presagio infausto circa la bontà
dell’iniziativa che avevano assunto. Ma ormai non potevano sottrarsi a qualcosa
che stimavano ineludibile.
Una volta
dentro, Polibio localizzò immediatamente su una sporgenza metallica alla sua
destra dei rotoli di papiro. Stranamente né lui né il suo compagno durante la
prima visita li avevano notati. Pareva senz’altro che qualcuno li avesse
lasciati in bella vista deliberatamente. Preso fra le mani il più vicino fra
quelli lì deposti, il mercante romano lo srotolò con cura. Quindi, reprimendo a
stento l’ansia, si approssimò all’intensa luce che filtrava attraverso lo
sportello da cui erano entrati.
- È vergato
in latino, - riferì subito all’amico.
- Coraggio,
leggi quanto vi è riportato.
-
“Sicuramente, chiunque voi siate, vi starete domandando con un incontenibile
timore che cosa un arcano destino vi ha fatto rinvenire in questo sperduto
bosco dell’Attica. Ebbene, ora io risponderò a tutte le prepotenti e legittime
domande che inevitabilmente germogliano nei vostri cuori ogni istante che
passa. Dovete sapere che il dispositivo che avete trovato è il prodotto di
ferventi studi e ricerche le quali, attraverso vie ai più imperscrutabili,
hanno infine portato l’uomo a decodificare ogni singolo aspetto del mondo
naturale e delle sottili leggi che lo regolano. L’intelletto umano, come un
fiume in piena, si è spinto talmente avanti nel suo desiderio di onnipotenza da
voler esercitare il proprio dominio anche su ciò che da sempre è sfuggito al
suo controllo, ovverosia il tempo.
Non avete
capito male. Vi trovate effettivamente in una sorta di cavallo di Troia che
rende possibile il viaggio temporale. Conoscendo la rozza cultura propria della
vostra civiltà, temo a questo punto che il turbinare degli eventi vi porti a
sentirvi vittima dello spietato tiro di una qualche divinità. Senza indugio vi
invito a respingere ogni fluttuante pensiero di tale natura. L’evidenza di
quanto avete davanti agli occhi vi deve convincere dell’inattaccabile
ragionevolezza della lettura degli avvenimenti che, per puro e disinteressato
compatimento della vostra sorte, desidero fornirvi. L’umanità che mi è propria
mi sprona a mettervi in guardia dai pericoli contro cui potreste miseramente
infrangervi, essendo voi alla mercé di un amaro destino che vi ha condotto
laddove ogni speranza umana è facile a svanire nel nulla.
Vi esorto a
vigilare affinché ciò in cui vi siete imbattuti non vi si rivolti contro e
finisca con l’annientarvi. Io stesso e il mio compagno, al principio della
nostra avventura, ci troviamo in una situazione analoga per incertezza a quella
in cui voi vi dibattete. Non voglio approfondire ora simili discorsi, né
rivelare per quali vie abbiamo intenzione di dirigere i nostri passi su queste
terre. Sarebbe qualcosa d’inappropriato alla circostanza… Mi auguro che la
sorte mostri il suo volto più benevolo a tutti noi.
Per
comprovare l’affidabilità della presente testimonianza, vi invito a consultare
i manoscritti che immagino abbiano già catturato la vostra sconcertata
attenzione. Essi riassumono e analizzano a fondo la storia delle più
straordinarie civiltà che si sono sviluppate o si svilupperanno a partire dalla
vostra epoca fino al XXI secolo. Proprio così. Fra quelle pagine è accessibile
a voi il discernimento degli effettivi impulsi che ispireranno le gesta di
illustri re e imperatori. Ora che siete sul punto di divenire partecipi di un
simile tripudio di conoscenza, sforzatevi di farne un buon uso. I manoscritti
in questione rappresentano una preziosa chiave capace di dischiudere il più
inestimabile dei tesori, cioè il cuore dell’uomo.
Prima di
lasciarvi al vostro destino, vi esorto a non dimenticare queste mie ultime
parole: ciascun uomo è più forte dell’universale fatalità.”
Conclusa la
lettura, il silenzio più assoluto fagocitò ogni cosa. I due si guardarono per
interminabili secondi negli occhi senza riuscire a proferire alcuna parola. Mai
avrebbero pensato di vivere un’esperienza come quella. Essa non avrebbe trovato
spazio neanche fra i peggiori auguri da rivolgere ai loro nemici, per quanto a
Fedro non mancassero di certo.
Dopo un poco
si dissipò l’intensa nebbia che quel susseguirsi d’inconcepibili avvenimenti
aveva generato. La realtà cominciò a divenire più nitida nei suoi contorni.
Polibio allora, osservando la luminosa scritta che continuava a risaltare
davanti a loro carica di mistero, azzardò con un sottile intuito:
- Sono
convinto che questa didascalia rappresenti la soluzione di ogni enigma. Cosa
può significare?
- 335 avanti
Cristo e 27 Anno Domini. Mah… chi potrebbe essere il Dominus a cui si allude? -
s’interrogò Fedro inarcando le sopracciglia.
- Forse
qualche esimio sovrano o un grande benefattore. E quei numeri potrebbero
indicare un periodo di tempo precedente e successivo a qualche avvenimento che
a lui si riferisce, - ragionò Polibio.
- Già, ma
quale?
- Magari la
sua morte o la sua nascita…
- Costui
dovrebbe essere un personaggio veramente eccelso se, per qualcosa che a lui
attiene, è stato assunto come punto di riferimento addirittura per un arco di
tempo di alcuni secoli.
- Ma proviamo
un attimo a ragionare… Se quel rotolo di papiro è attendibile, e ciò lo
scopriremo presto, significa che ci troviamo all’interno di un fantastico
dispositivo che in qualche maniera consente il viaggio temporale, - cominciò a
riflettere Polibio. - Pertanto, deduco che quei numeri indichino semplicemente
due differenti periodi storici, qualunque essi siano. Il primo, 335 avanti
Cristo, dovrebbe essere l’anno in cui vivevamo prima che ci travolgesse un
incubo ogni istante più sconvolgente. Mentre 27 Anno Domini suppongo sia l’anno
in cui ci ha disgraziatamente catapultato questa lugubre macchina.
- Brillante
ricostruzione. Ma è solo una possibilità, per quanto verosimile, - smorzò
l’entusiasmo Fedro.
- Ritornando
al contenuto del papiro, ritengo ora necessario studiare a fondo i singolari
manoscritti che colmano questa parete. Un lungo lavoro ci attende… - sostenne
Polibio volgendosi verso la catasta di libri alle sue spalle.
- Bene,
vediamo un po’… Historiae Romanae di Caio Velleio Patercolo, Annales di
Cornelio Tacito, Historiae Romanae di Cassio Dione, Historiae Romanae di Tito
Livio, Vitae Caesarum di Gaio Svetonio Tranquillo. Beh, non conosco
assolutamente questi autori e le loro opere. Forse a te risultano familiari? -
chiese Fedro.
- Mai sentiti
nominare. Comunque i testi che hai nominato paiono attenere tutti alla storia
della mia patria. A questo punto è probabile che fra quelle pagine sia proprio
riassunta la storia di essa nei secoli a venire.
Appena
Polibio finì di pronunciare queste parole, all’esterno un soffio di vento
impetuoso smosse con forza le cime degli alberi richiamando l’attenzione degli
sventurati verso la boscaglia. Le tenebre stavano cominciando ad abbracciare
ogni cosa. Le indagini dovevano essere rimandate al giorno dopo.
Dopo aver
rapidamente nascosto il congegno per mezzo del fogliame disponibile, andarono
in cerca di un rifugio per la notte. Seguirono un sentiero finché non
individuarono un capanno abbandonato. Entrati al suo interno, essendo
soddisfatti della sistemazione, si disposero a trascorrere lì la nottata. Essa
non sarebbe stata certo beata, ma lunga e insonne. Il peso che i due portavano
dentro era arduo da sostenere.
- Continuo a
pensare che tutto per noi sarebbe più chiaro, qualora riuscissimo a capire a
chi si riferisce il termine Dominus, - sostenne Polibio.
- Giusto.
Come sempre ti riveli il più sagace fra noi. Forse così sapremmo anche in quale
epoca storica ci troviamo…
- Per
apprendere ciò sarà sufficiente, penso, raggiungere Atene e fare un’indagine.
Quella notte i due
uomini d’affari si chiesero da quale scherzo del destino fossero stati
raggiunti. Quale sviluppo avrebbe assunto la loro esistenza alla luce degli
ultimi avvenimenti? Era reale quanto essi avevano appena vissuto o forse si
trattava di un incubo pregno di parvenze di verità, dal quale faticavano a
risvegliarsi? In particolare Fedro si domandava se tutto ciò non fosse una
sinistra macchinazione degli dèi per punire l’arroganza con cui egli
abitualmente si atteggiava. E se il viaggio temporale fosse davvero avvenuto,
quale sarebbe stata la loro nuova ragione di vita da perseguire con tutte le
forze e su cui modellare ogni pianificazione? Tutte queste erano le mute
domande che essi si ponevano nel silenzio del capanno, mentre attendevano che
il nuovo giorno dissipasse almeno in parte la gravosa incertezza che li
tormentava. Volgendo d’impeto lo sguardo verso l’orizzonte, ancora non
riuscivano a leggere fra le sue righe. Ma sapevano che presto i contorni
malfermi della realtà si sarebbero definiti davanti a loro. E questo era forse
ciò che più li teneva in ansia.
Voi cosa ne pensate? A me incuriosisce parecchio e non vedo l'ora di leggerlo!
Buona lettura!
Buona lettura!
Mi piacciono un sacco questi generi!!!
RispondiEliminaAnche a me. Spero di leggerlo il prima possibile!
Elimina